E oggi che Papa Bergoglio, come mi scrive con un sorriso la mia amica Paola, è uno dei nostri “più illustri seguaci”, il più illustre, direi… festeggio con questo scritto che mi manda dal carcere di Catanzaro Claudio Conte, con il quale ci scambiamo opinioni e libri, e che a proposito de “Il vagabondo delle stelle”, splendido libro di Jack London, sulla ferocia del sistema carcere, ma soprattutto sulla grandezza dell’Uomo, scrive questa riflessione… Così, giusto per ricordare quante potenzialità sprechiamo, condannando a morire al mondo… dunque:
“Il vagabondo delle stelle” è un romanzo “spirituale”, che rompe la tradizione “d’avventura” che caratterizza i racconti di London, indimenticabile autore di “Zanna Bianca”. Un uomo avventuroso egli stesso: nato a S.Francisco nel 1876 fu marinario, girovago, guerrigliero e sguattero, per finire suicida nel 1916. Il protagonista Darrel Standing è un condannato, che lascia le sue testimonianze in un manoscritto che uscirà dalla prigione clandestinamente poco prima della sua impiccagione. Egli professore universitario, condannato prima all’ergastolo per un omicidio e poi a morte per un (inesistente) pugno ad un secondino, mentre era recluso a S.Quintino. Uno dei più disumani penitenziari americani, dove si esercitava la tortura: la morte viva. Dove i prigionieri più riottosi, erano legati in una camicia di forza, che immobilizzava finanche le caviglie, e lasciati tra indicibili sofferenze, anche consecutivamente per 10 interminabili giorni. Un romanzo che parla di ingiustizie, meschinità umana, ma anche di Uomini che soffrono con grande dignità, una dignità che li eleva sopra i loro aguzzini, corrotti fino all’anima. (…)
E proprio “grazie” alla sofferenza che Darriel inizia un percorso di viaggi interiori sempre più profondi, fino ad arrivare a quelli “spirituali”, che gli permetteranno di entrare in diretto contatto con la propria anima, uscire dal corpo e ricordare tutte le altre vite precedenti.
Il tema trattato da London ha profonde ed antiche radici filosofico-spirituali: quello della reincarnazione. Una concezione per cui l’anima è costretta a compiere più viaggi, più vite, sulla terra per raggiungere, attraverso la comprensione-perdono-amore, gli stadi più alti, quella perfezione necessaria per ritornare alla “Fonte”, allo “Spirito”, a Dio da cui tutto proviene e a cui tutto alla fine torna. Di reincarnazione si parla già negli antichissimi “Veda” indiani o nella “religione astrale” di Platone, lo stesso che ci riferisce il racconto di Er, che assiste al raduno delle anime e al momento in cui scelgono la loro nuova vita, scelta che dimenticano quando si bagnano nel fiume Lete. Laddove Ulisse, il più astuto degli uomini, al momento della scelta, invece che d’essere un re, preferì la vita di un semplice contadino… come si augura di essere nella prossima vita Darrel, il protagonista del libro, che affronta la morte con la massima serenità, consapevole com’è che si tratta solo dell’ennesimo passaggio.
Un tema antico ma ancora attuale, alla base della “New Age”, una religione a cui non si deve guardare con “orrore”, poiché altro non indica che l’avvento di una “Nuova Era”, quella “dell’Acquario” che prenderà il posto di quella dei “Pesci”, che ha caratterizzato gli ultimi duemila anni. In cui le parole d’ordine sono state quelle predicate da Gesù il “Pescatore”: amore, perdono solidarietà. In questa visione, il senso dell’esistenza umana assume una dimensione diversa, la sofferenza, il dolore, le difficoltà hanno tutte un ruolo importante: quello dell’esperienza-consapevolezza-guarigione-espanzione… dell’anima.
Questo continuum porta ad una riflessione, nella nostra epoca, in cui la religione ha lasciato il posto alla filosofia e poi questa psicologia, alla scienza, il “linguaggio antico” che parla del/all’anima sembra essersi perso nella sordità della tecnologia e della materia, ma non è così. Esso si è trasformato, si è adattato ma non è scomparso, ci dice sempre la stessa cosa, anche se con un “linguaggio moderno”. Basta ascoltare, “ascoltare non ha mai fatto male a nessuno” lo diceva Antigone al padre morende (Edipo) per convincerlo ad ascoltare il figlio diseredato, che voleva il suo perdono e che quando glielo accordò, non morì ma si trasfigurò in piena luce…
“Ascoltare non ha mai fatto male a nessuno”. Forse se facessimo più attenzione a quello che ci dice il cuore, riusciremo a capire veramente da dove veniamo e dove andiamo, cos’è veramente importante, di cosa abbiamo veramente bisogno e soprattutto di cosa hanno bisogno gli altri, per metterci al loro servizio: “Ama il prossimo tuo come te stesso” non è solo il più importante dei comandamenti, ma racchiude il “segno” che l’Anima è sulla via del ritorno… che la Felicità è ormai dentro di noi, alla nostra portata. Una verità che troppo spesso resta dimenticata.
Claudio Conte
Catanzaro-carcere, 28 settembre ‘14