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    Un racconto… – 4

    Ci siamo ritrovati seduti sul divano della mia stanza. Io e Boh, con gli occhi fissi sul cartone buio delle finestre. “Ti prego, ha sospirato Boh, restituisci a questa notizia un po’ della sua verità”. Puntava su di me un occhio triste e lontano. Ho preso le matite, ho scelto tre colori: bianco, verde e giallo. Sulla parete alla nostra destra ho tracciato due linee parallele e il capolinea di un binario. Ho disegnato una curva seguendo l’angolo della stanza fino ad arrivare al cartone delle finestre. Lì ho lasciato che il binario si perdesse nella notte, ma ho capito subito che Boh vi aveva già scorto sul fondo un’evanescente oasi verde. Mi ha sorriso. “Bene” ha esclamato prendendo appunti in un piccolo notes, che a me sembrò troppo piccolo…

    “Può bastare, mi ha detto con determinazione,…quando i pensieri nascono piccoli…” e si è addormentato prima che potessi avanzare obiezioni che non avevo.

    Ma le sorprese non sono finite qui.

    La mattina seguente. Da non credere ai miei occhi assonnati: una sagoma gialla era comparsa nell’angolo a destra della porta. Boh la stava osservando da una certa distanza, come un pittore che scruti un’opera appena dipinta, con qualche lampo di perplessità. Ammetto di essermi innervosito: in fondo era solo un ospite e doveva rispettare minime regole di correttezza. Era estremamente scortese da parte sua pensare di poter dipingere secondo i suoi gusti le pareti di casa mia. Senza dire poi che il giallo è un colore che non ho mai amato: odora di isteria e collera e io ho già molta difficoltà a mantenere il controllo della situazione. L’ho rimproverato nonostante lui continuasse a dire che no, che non si sarebbe mai preso una libertà del genere e che la macchia gialla era apparsa sulla parete in via del tutto autonoma. Prima un puntino al limite del pavimento; che si è poi allungato sulla spina dell’angolo, acquistando lentamente corpo. Boh, anzi, mi ha anche assicurato di avere cercato di cancellare la macchia, ma il panno con il quale aveva provato a tamponarla al primo contatto si era intriso di vernice gialla, oleosa. Ne aveva ancora le dita sporche e me le ha mostrate.

    Ora la macchia gialla era una sagoma più alta di me. Le due appendici che partivano dal tronco sembravano due braccia; una si è mossa lungo la parete, lentamente, fino a raggiungere la sommità della figura, una sorta di largo cranio slabbrato dai lineamenti illeggibili. Un gesto come per grattarsi il capo. Poi l’intera figura si è mossa, tremolando come un budino. Finalmente si è staccata dalla parete.

    E tu chi sei?

    “Sono l’Assassino”.

    Quale assassino?

    “Che importa? Io SONO l’Assassino. Puoi attribuirmi di volta in volta il viso che tu ritieni più opportuno e ogni volta avrò un’identità. Ma ognuna da sola non significa assolutamente nulla: io sono la somma di tutti e di nessuno messi insieme”. Rise sguaiato, l’assassino dunque. “Purtroppo sono anche tutte le accuse, i sospetti, gli indizi e i segni, le tracce e il sangue, le certezze, i dubbi, gli incidenti probatori e gli indagati. Insomma, io sarei l’ombra che mescola e riassume tutto l’ipotetico universo che gravita intorno a un omicidio. Inafferrabile e terribile!” e si è accasciato sulla poltrona, dilagando sul tessuto fiorato come una macchia d’olio.

    “E’ da tutta questa confusione che sto fuggendo” ha continuato guardandosi intorno con aria sospettosa. “Mi hanno detto che qui dentro si stanno elaborando nuove teorie e che tu avresti potuto aiutarmi. E’ così?”

    Io, aiutarlo? Mi sembrava un po’ troppo…

    “Tu, certo. Mi hanno dato proprio questo indirizzo. Per ritrovare una identità meno confusa e più appropriata, mi hanno detto”. L’assassino si è fermato un attimo, dubbioso, poi ha aggiunto: “Non sono uno stupido, ho notato bene che nel darmi questo indirizzo a stento si trattenevano dal ridere. Ma non ho alternative”.

    “E poi, ha aggiunto, se sono vere alcune informazioni che ho raccolto, penso che anch’io potrei esserti utile”.

    A cosa?

    “A cosa!?”, afferrata una matita rossa e blu, l’assassino con un colpo secco l’ha spezzata.

    “Sono pur sempre un assassino!!! Potrei aiutarti io a rompere il patto della comunicazione. Non è precisamente quello che stai tentando di fare? Insieme possiamo eliminarlo per sempre. Sono un professionista. Nessuna traccia di sangue, vedrai”.

    Boh sorrideva e mi lanciava cenni d’assenso. Io ho tentato di avanzare qualche dubbio, prendere tempo, almeno per capire quanto il mio sogno del punto e virgola potesse inserirsi in un sistema teorico che arrivava addirittura a prevedere un omicidio. Ma mi sono presto dovuto arrendere anche all’assassino.

    Ignorandomi completamente Boh ha continuato a rivolgere alla sagoma gialla sfrenati sorrisi e ha invitato l’assassino a fermarsi almeno per colazione. I due hanno subito stretto amicizia: si sono divisi il mio divano, il mio caffellatte e sono stati lì a confabulare l’intera mattinata.

    Ancora una volta le cose hanno dimostrato di potere avere il sopravvento su di me. Non ero al riparo da nulla. Neppure nel mio mondo di cartone. E maturava in me un sospetto: una fuga di notizie. Sì. Qualcuno venuto a conoscenza della mia teoria del punto e virgola già mi stava inviando casi da riscrivere, per salvare il pensiero ignorato dalla virgola e ricreare le continuità negate dal punto. Ma io non ero ancora pronto. ( 4- continua)

     

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