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    Un albero caduto

    Forse anche per quell’albero mi ero convinta a venire ad abitare in questa casa. Un grande alloro… altissimo, che saliva con i rami in alto, più in alto del limite delle mie finestre. E grondava di foglie e di nidi, e la primavera espodeva in grappoli di infiorescenze, gialle e bianche… E tutto sembrava un immenso giardino, perché l’albero era talmente grande e alto e folto, da nascondere alla vista l’alto caseggiato, che appena si intravedeva, lì dietro, oltre la sua chioma… Poi, qualche anno fa, alcuni suoi rami hanno iniziato ad ammalarsi. Con le foglie affollate di minuscole conchigliette, che a staccarle erano minuscole gocce di sangue, che proprio sembravano succhiate dalla linfa della pianta. Ed è venuto un giardinere e ha spogliato l’alloro di tutti, ma proprio tutti i suoi rami. Quasi sembrava ne sarebbe morto. Ma piano piano, sono nate nuove foglie e nuovi rami, sono passate altre stagioni e l’alloro ha ripreso forza e bellezza, e ancora si è popolato di nidi, e la sua voce è diventata canto di uccelli. Ma giusto quando era tornato ad essere più alto delle mie finestre, qualcuno forse ha deciso che andava sfoltito… e ancora una mattina affacciandomi il mio sguardo è caduto nel vuoto di rami mozzati… e solo, di fronte, l’intonaco slabbrato del triste retro di caseggiati e il reticolato di finestre squadrate come gabbie… Giù in basso, l’alloro di nuovo amputato, triste e muto come un funerale…  Eppure non si è arreso. (…) Sono passati altri mesi, ancora qualche anno, e, qualche mese fa, sembrava pronto, per una nuova, fiorita primavera, e già i rami, nonostante ancora inverno, erano tutto un fremito di frulli d’ali. Prima della primavera è arrivata la neve, ma anche quella è scivolata via, scoprendo l’alloro ancora alto e fiero. Ma qualcuno, ancora, un giorno ha deciso che no, che troppa ombra faceva alla strada, che forse qualche ramo già si ammalava e che la cura questa volta sarebbe stata radicale. Fra tre giorni è primavera. E quando mi sveglio, prima che faccia alba, sono certa di udire il tronco mozzato che geme, sognando impossibili gemme…

    Ritorna il ricordo di un racconto del tempo del primo anno di scuola… la storia di un albero cresciuto nel centro di un cortile. Si narrava di un albero felice, ricordo, fino al giorno in cui gli uomini vollero alzare di un piano le case tutte intorno, togliendo luce alla pianta, che perse le foglie, che fu abbandonata dagli uccelli. Ma che pure non si arrese e si sforzò, si sforzò di crescere fino a superare il nuovo limite dei tetti delle case e rivedere il sole. E di nuovo si infoltì di foglie e di nuovo tornarono gli uccelli. Qualche tempo dopo gli uomini alzarono di un nuovo piano il limite delle loro case e ancora, per l’albero, tornò il buio. Eppure neanche questa volta si arrese. Allungò le sue dita di rami, si tese, si tese verso il cielo, fino ad arrivare di nuovo a vedere il sole… e s’infoltì di nuove foglie, e si affollò ancora di nidi. Ma gli uomini non erano contenti, costruirono più alte case, due, tre piani più alte di prima. E l’albero si sentì vecchio, si sentì stanco… sapeva che questa volta non ce l’avrebbe fatta… il cielo e la luce erano troppo lontani… a poco a poco gli uccelli lo abbandonarono, a poco a poco, nel silenzio, perse le foglie… a poco a poco infine morì…

    Ripensando a un verso del Filosofo Ignoto, da un testo di Ceronetti: tutti gli alberi, sono angeli feriti….

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