Un pensiero per “teste Matte”, di Guido Lombardi e Salvatore Striano, edito da Chiarelettere. Un libro da leggere per capire e conoscere. . sono sempre più convinta che nessuno meglio di chi ha attraversato esperienze come quelle raccontate nel libro e ha trovato la strada per uscirne, può aiutare a costruire nuove strade…. Oggi su “Il garantista”. Questo il testo..
“Teste Matte è un gruppo criminale della Napoli degli anni ’80. E dà il titolo al libro che racconta l’adolescenza e la prima gioventù di Salvatore Striano. Che, come recita la biografia del risvolto di copertina, “è stato tante cose”. Detenuto, poi attore, camorrista per Gomorra, Bruto per Cesare deve morire, il film dei Taviani che lo consacra definitivamente attore.
Teste matte, edito da Chiarelettere, è scritto a quattro mani con Guido Lombardi, che è scrittore, sceneggiatore e regista. Figlio di un magistrato. Tutt’altro mondo, si pensa subito. Ma entrambi sanno bene di cosa si parla. Se questa ‘contaminazione’ partorisce seicento pagine da leggere tutte d’un fiato.
A dire la verità, per le prime cinquanta ho fatto un po’ fatica. Rallentata da una domanda: ma è così? E’ possibile che sia proprio così… Poi entri nel tunnel e non ti stacchi più.
La Napoli degli anni Ottanta, (…) nel cuore dei quartieri spagnoli. Il clan dei Viviani che tutto domina e la camorra di cui tutto sembra trasudare. E da cui non si sfugge. Sasà e suo cugino Totò sono due bambini, “hanno paura ma sono due bambini coraggiosi” e la loro storia “comincia quasi per gioco una trentina d’anni fa”. Fra furti, contrabbando e prostitute, “a nove anni già orfani dell’innocenza”. Due guappetielli indisciplinati che crescendo imparano che il sistema o ti assorbe o ti uccide. Teste Matte sarà chiamato, con un nome affibbiato dalla stampa, il gruppo di persone così pazze da voler sfidare i clan di Napoli. Delinquenti sì, ma in conto proprio. La storia, gli intrecci, le vittorie, le sconfitte… leggerete… Ma a parte le vicende che rimandano a storie che hanno riempito pagine e pagine di cronaca, quello che questo libro ci sbatte in faccia senza nascondimenti è il micidiale meccanismo che tutto assorbe e che non lascia vie d’uscita. Che non risparmia neppure i più giovani, anzi. Il meccanismo di cooptazione dei minorenni, quasi bambini, è feroce. Feroci sono le pagine in cui gli agguati, gli omicidi, i fiumi di soldi e di droga scorrono con una meccanica che ha del disumano. E ti chiedi, ancora, ma è possibile? E’ proprio così? Tutte queste vite che non conoscono altre grammatiche, se non quella di decisioni dalle quali non si torna indietro. Con la morte negli occhi e l’anima buia.
Una sera Sasà, guardando Nicola: “Quante volte quella notte si è immaginato di potergli parlare come faceva un tempo, come a un fratello più grande e più saggio. Gli avrebbe raccontato tutta la paura che ha di morire. Ma soprattutto la paura che ha di vivere, con quel cuore nero che gli sta crescendo in petto, che arma la sua mano e lo fa uccidere senza pietà”.
Il cuore di Napoli qui è un tunnel buio, dove non c’è spazio per sfondi. Perché la vita che si narra è quella che non vede altro che le dinamiche dell’aggressione e della difesa, della lotta per il danaro, che serve per qualche orologio d’oro e per le armi e per la cocaina, che serve per sentirsi forti, che serve per saper uccidere, che serve per uccidere prima di essere uccisi, che serve per controllare il territorio, che serve per avere danaro, che serve per avere cocaina e armi, che servono per …
Non c’è spazio per altro. Neanche per le belle giornate di sole a Napoli, “dove non hai voglia di fare niente, soltanto camminare”. S’infila, strappato a fatica e tenuto protetto in un angolo del cuore, l’amore per Monica, la ragazza che alla fine riesce sempre a stare accanto a Sasà. Mentre fortissima è l’immagine di Carmela, la madre, che prova ad arginare quel suo figlio, troppo presto alle prese con furti e rapine, e che pure quel mondo conosce bene. Carmela, a far da vedetta sul balcone di casa, a spiare ombre, a capire, anticipare mosse, accogliere, rimproverare, suggerire, straziarsi…
La storia narrata nel libro si ferma alle soglie della nuova vita di Sasà. Poi verrà il carcere, la scoperta dello studio, la cultura, l’incontro con chi insegna a Sasà a tirare fuori l’attore che è in lui. Arrivano i film. Oggi per Salvatore Sasà Striano inizia la sua nuova vita di scrittore, anche. Accompagnato da Guido Lombardi, del quale ricordo l’altro libro, scritto con Gaetano di Vaio, “Non mi avrete mai”. Bello, anche questo, molto bello, a cominciare dall’interazione della scrittura italiano-napoletano. Apro una piccola parentesi. Diverso nell’impianto e nelle scelte narrative, mi era pure piaciuto tanto, anche quel libro, che avevo mandato a Guido Lombardi un mio piccolo messaggio d’apprezzamento. Mi aveva risposto, Lombardi, confidandomi di una sua intima delusione. In quel libro per la prima volta si parlava della “cella zero”, la stanza delle torture del carcere di Poggioreale di cui adesso un po’ sappiamo, e aveva pensato, lui, scrivendone, che si sarebbe scatenato un putiferio. E invece … “siamo un paese ormai sordo e inerte”.
Anche questo nuovo libro scritto con Striano, svelandoci dinamiche che da soli facciamo fatica ad immaginare, ci apre squarci di realtà. Oggi che si piange Gennaro Cesarano, il diciassettenne morto nella sparatoria nel quartiere Sanità. Un altro uomo era stato ucciso nella stessa giornata a Ponticelli, e non so cosa si sia poi saputo di un giovane, cui pure nello stesso giorno si è accennato in pagine di cronaca, arrivato in ospedale per un incidente stradale, ma i medici hanno scoperto che aveva una ferita d’arma da fuoco…
Quel mondo, le dinamiche, le storie… tutto ritorna. Come narrato nel racconto di Striano e Lombardi. Sono cambiati i nomi, delle persone e delle droghe, è cambiata la geografia criminale. E’ molto peggio oggi, dice Striano. Ma “Teste Matte” è un libro che ci aiuta a vedere, a capire come le cose succedano, e quanto sia vero anche quello che al funerale di Gennaro Cesarano ha detto Alex Zanotelli: “Nessuno verrà a salvarci (…). Popolo della Sanità alziamo la testa. Tutti devono darci una mano, ma anche noi diamoci una mano: solo facendo rete la vita vincerà”..
Mi sono chiesta, all’inizio della lettura, perché “Teste matte” non sia stato scritto in prima persona. Sasà è lì, dalla prima all’ultima pagina, con quei suoi occhi mobilissimi. Mi colpirono molto, i suoi occhi, la volta che l’ho incontrato. Ancora, sembra a tratti, a frugare nelle ombre che potrebbero chissà ricomparire… Poi ho pensato che scegliere la terza persona è anche un modo per guardare a questa storia come cosa lontana da sé. Che non tiene al riparo, durante il ricordo e l’elaborazione necessari alla scrittura, dalla sofferenza e dal tormento. Ma che consegna infine il proprio passato al passato.
Lo sguardo di Salvatore Striano… Mobilissimo, come sempre a frugarsi intorno, per ancora conoscere e appropriarsi di tutta l’altra parte della vita che da dentro il tunnel che è stata la sua vita giovanissima non poteva vedere e avere. Nel nostro breve incontro mi disse di un suo desiderio. Recitare in “Macbeth”, il dramma diventato l’archetipo della ferocia a cui porta la brama del potere. Lo auguriamo a Sasà, che in Shakespeare ha forse trovato la strada per leggere il mondo.
Nel futuro prossimo un film tratto da “Teste Matte”. Nell’attesa, a noi, adesso, dal suo libro lasciarci aiutare a leggere quello che ci accade intorno.