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    Suicidi e delitti

    riabilitazione-sospesa-800Un appunto, vecchissimo, dal mio taccuino. L’unica cosa a cui non c’è rimedio è la morte, che non sana, che è solo amputazione…
    Ritorna questo appunto, alla notizia del suicidio in carcere dell’uomo arrestato dopo la rapina nella quale è morto un gioielliere. Seguito, a poche ore di distanza, da un altro suicidio, quello di un giovane di 18 anni, responsabile anche lui, qualche mese fa, della morte di un uomo, aggredito per la rapina di poche decine di euro. Stesso carcere, stessa città, stesso, profondo, turbamento…
    Ma ancora di più turba, scorrendo qua e là gli umori neri di facebook, quante persone sembra siano sempre contente quando si suicida un detenuto. E turba l’uso sconsiderato di parole anche da parte di chi le parole dovrebbe sapere usarle.
    Chi si uccide in carcere è sempre una persona confusa e disperata. Non ovviamente per giustificare ( nulla giustifica la morte procurata ad altra persona) ma, intanto, un omicida non è sempre un ‘killer’, specie se la morte della persona aggredita non è intenzionale, come non sembra fosse in questa pur terribile vicenda. Il rapinatore sembra abbia capito solo ascoltando la notizia in tv che il gioielliere aggredito era poi morto. Ma quanto piace usare la parola ‘killer’! (…)Impazza qua e là fra titoli e colonne di giornali, virtuali e non. Ma il termine, di lingua inglese e pure traducibile come ‘assassino’, evoca nel nostro orizzonte culturale per lo più chi dell’assassinare fa una specie di mestiere, ed è riferito soprattutto alle organizzazioni criminali, la cui terribilità il suono stesso evoca. Nulla a che vedere, almeno gliene si dia atto, con la vita sciagurata del rapinatore di Prati.
    Le parole e gli umori neri di facebook… sembra di sentire i colpi secchi di un patibolo che s’innalza… Nei suoi diari Kafka appunta che il suicida è il prigioniero che, ‘vedendo rizzare un patibolo in cortile, crede che sia destinato a lui, durante la notte evade dalla cella, scende nella corte e si impicca da solo’. Ma non sempre è necessario fare lo sforzo. Chi conosce le condizioni delle nostre carceri sa bene che se in Italia è stata abolita la pena di morte, i modi e i tempi dell’esecuzione penale, nel nostro paese, sono ancora lì, ben pronti a condurre alla morte. Se negli ultimi 15 anni sono 858 le persone che in carcere si sono tolte la vita. 858…
    Adesso forse comprendo davvero ciò che dicono alcune delle persone detenute che ho conosciuto, condannate a un ergastolo che equivale a una condanna a morte camuffata dalla nostra solita ipocrisia, con la differenza, raccontano, che è morte più lunga e dolorosa. Qualche anno fa in un appello al presidente della repubblica avevano chiesto, quelle persone, che la loro condanna venisse tramutata in condanna a morte. Uno di loro, in particolare, aveva chiesto la fucilazione su una pubblica piazza, così, “per dare soddisfazione a quelli che i delinquenti vorrebbero vederli morti anche dopo decenni di galera”. Una provocazione, o forse no. E un altro, al quale è stato chiesto se mai avesse pensato al suicidio, risponde dicendo che, pur avendoci qualche volta pensato, ritiene giusto che sia una corte d’assise a decidere della sua vita, composta magari da una maggioranza di giudici popolari armati di forche e scuri. “Poi, conclude, mi auguro che il compito di decapitarmi o impiccarmi o avvelenarmi sia affidato a te. Scoprirai che la vendetta non ha quel sapore dolce di cui si parla nei romanzi” ( e se volete saperne di più, a proposito dei fine pena mai, “Urla a bassa voce, dal buio del 41bis e fine pena Mai”, edito da quegli instancabili alternativi di Stampa Alternativa. Libro di cui sono ‘responsabile’ e forse potrete capire perché tanto mi tormento su queste storie).
    Le parole e gli umori neri di facebook e non solo. Abbiamo così tanta paura della parte buia della nostra anima che non vogliamo vedere ragione. Tutto il cattivo è solo da una parte, e il resto non fa parte della nostra umanità. Eppure, chissà quanta verità nelle parole Valéry: “le ragioni per le quali ci si astiene dai delitti sono più vergognose, più segrete dei delitti stessi”. Ma siccome è verità inconfessabile, eccoci lì a sputare umore nero, come se sbarazzandoci definitivamente, e non importa come, della vita di chi la sua cattiveria per un motivo o per l’altro non è riuscito a contenerla, possiamo infine sentirci più tranquilli e più puliti.
    Ma ancora più nera, l’ironia di un Salvini qualsiasi, affidata all’idiozia contemporanea di un tweet, che dopo il suicidio dell’uomo in carcere scrive: “Non sono troppo dispiaciuto”. Salvini, pronto a scendere al fianco di chi si oppone all’introduzione del reato di tortura. Perché “la polizia deve fare il suo lavoro”… ( siamo sempre il paese dei fatti della Diaz, l’abbiamo dimenticato?).
    Le parole… qualche mattina fa un ascoltatore della rassegna stampa di ‘radio tre’ sottolineava quante male parole, quante brutte espressioni, quanti mali pensieri, frasi ad effetto di chi dovrebbe esserci di buon esempio, guidarci nel ragionare…
    Ma possibile che ci sia sempre una poltrona, nei salotti televisivi, per chi pronuncia parole a fomentare odio, a scavare nel peggio di noi, invitando al non pensiero, uccidendo la decenza? Senza che nessuno se ne adonti, senza che nessuno invochi pene esemplari, come succede per i delitti che a furia di durare diventano rispettabili…

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