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    Senza paura

    denata nUna raccolta di poesie…”Senza paura”, di Denata Ndreca, la prima poetessa ermetica albanese, come la definiscono a Scutari. Vive nel nostro paese, a Firenze… d’estate si affaccia sul mare di Positano. Questa è la prefazione alla raccolta di Daniela Morandini, che sa Positano l’ha incontrata…

    “Che cosa resta?” chiedevo a Denata Ndreca, una sera al Fornillo, davanti al mare. E mi tornava in mente Christa Wolf, una delle voci più forti della DDR, prima col regime, poi col dissenso. Che cosa resta di un’utopia svelata, che diventa sospetto, stato di polizia, repressione? Non resta nulla, scriveva la Wolf nell’89 ,alla caduta del Muro.
    “ ( … ) e non c’è disperazione maggiore del non aver vissuto”.
    “Resta quello che è vero” mi rispose, invece, Ndreca, anche lei venuta dall’Est. Una voce cresciuta a Scutari, Albania, una frontiera tra Islam e Cristianesimo.  Una poetica che non dimentica quel grigio di Stato: “Grigio freddo di palazzoni / senza portoni di condominio, grigio come la spia vicina di casa/ o peggio ancora un cugino…”.
    Ma il dissenso di Ndreca continua anche dopo il crollo del regime: i suoi versi corrono oltre i muri, prima di tutto quelli della mente. E’ la prima poetessa ermetica a scrivere in lingua albanese, e le sue parole incidono la carta, come segni espressionisti.
    Arrivata in Toscana, usa uno strumento imparato fin da piccola, piano piano, di nascosto, “ perché staccavano la luce, quando si ascoltava la musica”.
    Ndreca scrive in lingua italiana. “ Firenze di una donna straniera che la respira tutta intera”.
    E’ qui che gli elementi si fondono: dai Balcani all’Arno. E prende forma un linguaggio altro, crudo, in bianco e nero spesso, a colori talvolta.
    E’ orfano il mio pensiero…grezzo…ma vero…come i mattoni senza intonaco.
    “ Non adopero la mia lingua madre – spiega – perché la lingua è una sola, quella delle emozioni”.
    Ed ora, che le frontiere si chiudono, i profughi a piedi nudi sulla neve riportano ad Aushwitz, e la paura dell’altro deforma gli esseri umani, le poesie di Ndreca, essenziali, precise, graffiano ancora più forte:“Da piccola volevo cambiare il mondo/ oggi voglio che il mondo non cambi me”.
    Che cosa resta, allora?
    Resta la poesia grezza e colpevole di chi vuole continuare ad abbattere muri.
    Si, colpevole. Ndreca non ha paura, confessa: “ (…) Era colpevole!/ Perché rimase fedele a se stessa malgrado i dolori!/

    daniela morandini

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