“Beh, qui siamo mica a Bollate”, Gatto Randagio ha sentito spesso così sospirare qualcuno dei “cattivi” soggetti che ormai stabilmente frequenta. Bollate, carcere modello sinonimo di civiltà (se civile può mai essere l’idea della carcerazione), sogno di chiunque varcato il cancello di un istituto di pena, inizia a capire dov’è che è davvero finito…
E a Bollate dunque, ha letto il Gatto, verrà sperimentato un arredo per celle più funzionale, in maniera che dallo stesso pur breve spazio si possano ricavare piccole “comodità”. Tipo barre multiuso che diventano mensole, tavolini smontabili, guardaroba ricavati in angoli del letto a castello… “Stanze sospese”, la mostra in cui si presenta il progetto, al quale hanno lavorato designer e detenuti, nell’ambito del Fuorisalone milanese.
Certo negli spazi costipati, e spesso fuori norma, delle celle in cui sono ristretti i nostri detenuti, potrebbe un po’ rasserenare sapere dove mettere una maglietta in più, dove sedersi, dove poggiare con agio un libro… ma, primo pensiero del Randagio, di Bollate ce ne è uno solo… e poi e poi … c’è sempre quel tarlo che gli rode dentro, da quando ha toccato con mano cosa sia una detenzione, che per quanto si possa abbellire, riformare, attenuare… proprio non lo convince quella strana idea di rieducare imprigionando corpi… sorvegliando e punendo…
E questo stava rimuginando leggendo delle “stanze sospese”, quando incappa nel prototipo di sedia ideata per i piccoli ospiti dell’Istituto di custodia attenuata dove sono le donne con bambini. Le donne, sapete, possono tenere con sé i figli fino all’età di cinque anni. La sedia pensata per i loro bambini è modificabile, per adattarsi man mano alla crescita del piccolo…
E subito, al Gatto, gli si rattrappisce l’anima… avverte qualcosa che gli stride dentro, come un prolungato graffio gelato…
“Il pensiero di quella sedia, programmata per crescere… – mi ha detto- vengono in mente le mutazioni degli arredi intorno ad Alice, nel paese delle meraviglie, quando la meraviglia del gioco si capovolge nell’incubo del tunnel nel quale precipita…”
“Pensaci un po’ – mi ha detto-, una sedia pronta ad adeguarsi all’età di chi lì dentro cresce, a definire un destino d’infanzia prigioniera…”
Certo che non è obbligatorio che il bambino di donna che abbia commesso reato vada anche lui in prigione, ma spesso è una scelta di fatto obbligata, se troppo piccolo per stare senza mamma, o senza alcun parente a cui poterlo affidare, ad esempio. E mi ha ricordato, il Randagio, quanti bambini passano i primi anni di vita insieme alle loro madri, nella tristezza delle nostre celle… settanta, secondo i dati aggiornati a marzo del ministero di( giustizia.
Ora, in un Istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM), oltre e prima dell’idea di sedie che crescano con loro, i bambini hanno intorno un ambiente che non ricorda il carcere, dove chi si occupa delle sorveglianza non porta la divisa, ad esempio, dove vi sono educatori specializzati… ma questo rimane un sogno, per la maggioranza dei piccoli detenuti e delle loro madri, perché gli ICAM in Italia sono solo cinque.
Le cose sembra a volte vengano a cercarci… Proprio due giorni prima, Stefania (Stefania Elena Carnemolla) mi segnala, dalla pagina della Società italiana di pediatria, un articolo in cui la dottoressa Michela Salvioni, che proprio a Bollate presta la sua opera, spiega cos’è la vita di un bambino in un carcere “normale”. Per quanto si possano dipingere d’azzurri le stanze-asilo… rimane l’ambiente carcerario, con le sue regole, i suoi tempi cadenzati, le sbarre, il rumore del ferro, le guardie… e quanto problematico può diventare il rapporto affettivo con la madre, spiega Salvioni, quando unica figura di riferimento in mezzo a tanta estraneità, la madre a cui unirsi in un legame che pure poi si spezza, quando, allo scoccare dell’età stabilita, il piccolo viene allontanato…
Immaginate allora quanta violenza per lui, che… come non sentirsi abbandonato. E quanta violenza per lei, che perde l’unico appiglio, l’unico riferimento di vita, al quale si è morbosamente legata…
Quel sediolino intanto cresciuto di una, due spanne… che stridore, che incubo…
Le cose… mai arrivano per caso. In questi stessi giorni incappiamo, io e il Randagio, nel video di Calaya, una femmina di gorilla di pianura occidentale (animali a rischio d’estinzione) e del suo cucciolo appena nato. Video diffuso, con immaginabile orgoglio, dallo Smithsonian’s National Zoo and Conservation Biology Institute di Washington, dove il gorillino, che hanno chiamato Moke, è venuto alla luce.
Ecco: https://video.repubblica.it/natura/usa-mamma-gorilla-copre-di-baci-il-suo-cucciolo-le-immagini-a-poche-ore-dalla-nascita/302450/303084?video&ref=RHRD-BS-I0-C6-P1-S2.6-T1
Vi siete inteneriti? Mamma gorilla e il suo cucciolino…. Ma il punto non è questo. Perché saranno pure encomiabili i responsabili del centro che questo evento hanno, immaginiamo, preparato e seguito e accudito nella maniera migliore possibile, ma vedo che non riesce, il Randagio, a non fissare quell’inferriata alle spalle di Calaya, e lei lì a suggere l’aria da quel briciolo di vita nuova che ha fra le mani…
Saranno pure così salvati dall’estinzione, i gorilla di pianura… ma, ho sentito mormorare il Randagio, “come si è ridotta l’umanità se per salvare, in un modo o nell’altro, esseri viventi (da un destino di morte che l’uomo stesso ha prodotto) non riesce a pensare altro che farne dei prigionieri, bene o male accuditi che siano”.
E mi ha fissato, facendomi un po’ vergognare di me, in quanto rappresentante del genere umano che ha più vicino. Ma ormai il guaio è fatto. L’ho lasciato libero di rifornirsi alla mia libreria. Ha letto Foucault, si capisce… Nietsche, persino… Mi ha, pensate, confidato di avere avuto pensieri di gran pena anche per l’uomo, nel quale vede, ed è cosa che ripete spesso, “l’animale delirante, l’animale che ride, l’animale che piange, l’animale infelice”. Insomma, “un essere uguale a tutti gli altri animali, ma che ha perduto in maniera estremamente pericolosa, il sano intelletto animale”…