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    Se la clemenza muore…

    untitled“Nell’iconografia della giustizia, è come se i gigli e i rami di olivo intrecciati alla spada si fossero ormai essiccati”…
    Sempre ricco di metafore quanto mai appropriate il linguaggio di Andrea Pugiotto, docente di Diritto Costituzionale, che nel cammino che ho da qualche tempo intrapreso per cercare di capire qualcosa a proposito di delitti e di pene, è diventato irrinunciabile punto di riferimento… sempre più convinta che nella Costituzione è la ragione prima delle risposte da trovare…
    Le sue riflessioni mi arrivano oggi con gli atti di un incontro, da Pugiotto introdotto, a proposito degli istituti di clemenza.
    Immagino già… “Amnistia, indulto, grazia, commutazione della pena… che cosa contro corrente! Con tutto il bisogno di sicurezza che abbiamo… ancora si parla di atti di clemenza?”
    Ma visto che qui si rema contro…
    Impossibile riassumere il ricchissimo, complesso dibattito dell’incontro, che vale la pena di leggere nel libro che ne raccoglie gli atti. “Costituzione e clemenza” (a cura di Stefano Anastasia, Franco Corleone, Andrea Pugiotto, editore Ediesse, per La società della ragione). Un testo utilissimo anche per capire qualcosa di noi e del nostro paese.
    Solo alcune annotazioni. Ricordando che, dopo la lunga prassi di amnistie che sono seguite a quella di pacificazione del 1946, nel 1992 (a parte un indulto nel 2006) tutto si è interrotto. E questo per via della riforma, nel ’92 appunto, dell’articolo 79 della Costituzione che nella sostanza ha introdotto “un mostruoso procedimento rafforzato”, con maggioranze non previste neppure per deliberazione definitiva di leggi costituzionali. Capite bene quanto paralizzante.
    Insomma dal troppo al nulla… perché “non c’è spazio per amnistia e indulto- ancora parole di Pugiotto – quando impera il primato della pena esclusivamente retributiva, revival della legge del taglione”.
    E non è questione d’esser buoni… La questione, inutile dirlo?, è di riassunzione di responsabilità politica, di una politica che abbia il coraggio di scrollarsi di dosso, invece che crogiolarvisi dentro, la trappola del consenso…
    La proposta, “tecnica” ma non solo, è di riformulare l’articolo della Costituzione superando quel paralizzante meccanismo e restituendo alla clemenza il ruolo non secondario di strumento di politica criminale, che può concorrere a realizzare quanto detta la Costituzione: vietate le pene inumane, e che sia, la pena, rieducativa.
    Mentre leggo… mi vengono incontro gli sguardi persi di tanti giovani che affollano gli istituti di pena per questioni di droga…
    Sappiamo bene che dopo la legge sulle tossicodipendenze, la Giovanardi-Fini, nonostante l’intervento della Corte Suprema che la definisce in parte incostituzionale, basta davvero poco per mandare dentro chi dovrebbe essere piuttosto aiutato e curato… e che prospettive pensate che abbia un ragazzo, già in difficoltà, chiuso nell’indecenza delle nostre prigioni… se nessuno lo aiuta a costruire una nuova strada… Quanto rancore, quale disastro…
    Eppure quanto bisogno ci sarebbe di conciliazione, anziché di esasperazione, se la punizione del reato, in alcuni casi, è come e più del reato lesione sociale. Rinfocola l’odio, il risentimento…
    E lo stesso si potrebbe dire per un’infinità di altre questioni… in un sistema come il nostro inflazionato di norme e previsioni di reato, di cui nessuno (ci credereste?) sa oggi indicare il numero esatto…
    Atti di clemenza intanto come strumento di riequilibrio… Guardando alle nostre affollatissime, terrificanti carceri, alla condizione di violazione costante del principio di rieducazione che dovrebbe il tutto ispirare… viene alla mente l’immagine della Giustizia morente, sapendo del gran numero di malati, di persone con malattie psichiche, delle persone che di carcere, nella mente e nel corpo, si ammalano… pensando ai suicidi… Guardando al panorama della popolazione carceraria, per una gran parte viene da chiedersi “ma questi che ci fanno qui?”
    Ma fa ancora più male un altro pensiero: se avessimo un ordinamento penitenziario davvero democratico, non ci sarebbe bisogno di atti di clemenza… né collettivi né individuali…
    Leggendo di questi ultimi, grazia e commutamento di pena… gigli e rami d’olivo essiccatissimi, se dai 15.578 atti di clemenza di Einaudi, si precipita ai 23 con la presidenza Napolitano e ai 9 finora di Mattarella, e di questi qualcuno preoccupante atto politico… come altro definire la grazia concessa agli agenti della CIA del caso Abu Omar, l’imam di Milano sequestrato e consegnato all’Egitto dove fu torturato, (e per questo l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani).
    Stamperò e manderò le pagine sulla grazia a Mario Trudu, così che si faccia una ragione del “NO” tondo avuto dall’attuale presidente in risposta alla sua domanda di grazia. Soprattutto perché si risparmi l’amarezza che mi ha detto di aver provato, per quella risposta “secca”, senza un rigo di motivazione…
    A proposito di tanto “disseccamento”, parlando del groviglio di emozioni e disperazioni che il meccanismo feroce dei dinieghi alimenta nell’animo di chi è sigillato fra quattro mura per il tempo di tutta una vita… Monica Murru, avvocato e cara amica, mi ha ricordato il film “Le ali della libertà”, dove Morgan Freeman è un recluso condannato a una pena lunghissima a cui ogni volta viene rigettata la richiesta di libertà condizionale perché non parrebbe riabilitato…
    All’ennesimo colloquio, ricorda Monica, a chi gli chiede se si sente effettivamente riabilitato dopo 40 anni, risponde:
    “Riabilitato… a dire il vero non so cosa significa. Per me è solo una parola vuota. Una parola inventata dai politici perché un giovane come lei possa indossare un vestito e una cravatta e avere un lavoro. Cosa volete sapere? Se sono pentito di quello che ho fatto? Non passa un solo giorno senza che io provo rimorso, non perché sono chiuso qui dentro o voi pensate che dovrei… mi guardo indietro e mi vedo come ero allora… un giovane stupido ragazzo che ha commesso un crimine terribile…vorrei parlare con lui, cercare di farlo ragionare… Ma non posso, quel ragazzo se n’è andato da tanto e questo vecchio è tutto quello che ne rimane… e nessuno può farci niente… Riabilitato? Non significa un cazzo, quindi scriva pure quello che vuole nello sue scartoffie… perché a dire la verità… non me ne frega niente”.
    Come non immedesimarsi. E compatire… nel senso etimologico del patire insieme…
    Ma se tanto cum-patire non ci è proprio… c’è una questione di civiltà, un nodo … una questione alla quale non possiamo sottrarci, guardando allo stato indecente delle nostre carceri… perché
    “se non si è in grado di punire assicurando i diritti umani, non si è legittimati a punire”.
    A cosa serve la clemenza? Fra tante interessanti risposte che offre il libro da cui nasce questa mia breve riflessione, scelgo la risposta di Davide Galliani, che insegna diritto pubblico: a togliere di mezzo dal mondo del diritto l’inimmaginabile, il non pensabile che ancora accade nei nostri penitenziari.

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