Un’incantata storia di Daniela Morandini. Nasce, ci spiega, dalle piccole sculture di Peppe Desiderio, liutaio: pesci ricavati dagli intagli di un violino. E Grazie ai Maestri ai quali sono stati presi in prestito immagini, canzoni e poesie, narra di un Pesce liberato dal legno e di una Sirena che non vuole diventare umana. Ascoltate… e lasciatevi trascinare fino in fondo al mare….
“C’era una volta, nel Mediterraneo, un Pesce che, scaraventato da una tempesta fuori dall’acqua, si trovò imprigionato in un pezzo di legno. Un ramo d’ulivo. Era il tempo in cui le sirene avevano compreso di possedere un’arma ancora più terribile del canto: il silenzio.
Ci vollero anni, anni e ancora anni. Secoli forse.
Ma quel pesce un giorno si ributtò in mare e le Sirene, anche se per poco, tornarono a parlare.
Il Pesce raccontò che sott’acqua non si invecchia mai: si rinasce. Tra le braccia di un lungo tempo. E non si combatte l’uno contro l’altro, come accade in questo mare. Inoltre, avvisò:
“Vengo perché navigando abbiate d’ora in poi maggior cautela”.
Con grande gioia rammentò di quando, in quella caverna, la corrente furiosa seguì per il canale. Perché è difficile indovinare il vero colore del mare: ce ne sono tanti, vari, irraggiungibili.
Solitamente lo definiscono azzurro, ma non lo è sempre.
Il Pesce continuò a svelare cose straordinarie dei segreti più profondi, e le rotte perigliose rivelò ai naviganti.
“Il mare non appartiene ai despoti” ammonì.
“Alla sua superficie essi possono ancora esercitare diritti iniqui, divorarsi, recarvi tutti gli orrori di questa terra: ma sotto il suo livello, il loro potere cessa, la loro influenza si estingue, tutta la loro potenza svanisce”.
E allora cantò:
Scinne cu’mme
Nfonno o’ mare a truvà
Chello ca nun tenimmo acca’
Vieni cu ’mme
E accumincia a capi’…
(…) guarda stu mare
Ca ci infonne e paure
Sta cercanne e ce mbarà
E ancora:
Sagli cu’mme e accumincia a canta’
Insieme a note che l’aria da’
Senza guardà
Tu continua a vula’
Così il Pesce continuò a infiltrarsi tra le rocce, a sfiorare la sabbia ondulata, i tappeti di alghe verdi e marrone. Gli piaceva quel paesaggio silenzioso che si stendeva sotto di lui. Gli pareva di volare. E se pur sapessero danzar anch’essi, quanto erano stupiti i pesci più piccoli:
Sta forza
Ca’ ‘o friddo nn’arrogna,
chi mago t’ ‘ha data?
Stu sciato ‘a do’ t’esce?
“Ma quale magia! Qui non si inganna nessuno!” Esclamò il Pesce indicando il Capodoglio:
“Guardatelo: il suo grande genio è nel non far niente di speciale per provarlo”.
Ma tutti sanno che il Capodoglio procede celando i terrori del tronco sommerso, nascondendo l’orrore della mandibola.
“Siate pazienti!” esortò il Pesce, che mai dimenticava gli insegnamenti del Maestro:
…specialmente ‘e notte
nun è ca dico:
“ ’o mare fa paura”,
ma dico:
“ O mare sta facenno ‘o mare”.
Quanto spavento però quando sentì le grida del ramponiere:
Dda è, ddà è
Lu vitti, lu vitti
Piglia la fiocina
Uccidilu, uccidilu ahhh!
Rispunnia la fimminedda,
cu nu filu, filu e vuci:
scappa, scappa amuri miu,
ca sinnò t’accidinu!
E la varca la trascinava
E lu sangu ci curriva
E lu masculo chiangiva…
ahi ahi, ahi ahi ahi
La strage non si arrestò. Un Capitano gettò proprio sul Capodoglio tutto l’odio dai tempi di Adamo. La fiocina sporse della spalla del Grande Pesce formando un angolo. Il mare si colorò del sangue rosso che gli sgorgava dal cuore, poi si allargò come una nube.
E così piansero i Pesci:
Strad’ ‘e curallo
Lastre fatt’ e sale
Perle din’t all’acqua
So lacreme ‘e mare.
Navi affunnate
Varche senz’e vele
Isole deserte
Sott’a ‘n atu cielo
Con le lacrime agli occhi sognarono di fuggire:
E nuje sunnammo ‘o mare,
parti’ e gghi luntano,
addo’ nun fa’ rummore
niente, manco ‘stu core.
Tra i singhiozzi, si intravide una carena. Eolo soffiò come mai prima di allora, e si infuriarono le onde. Il Pesce non parlò, né si mosse. Fu allora che si udì un frastuono. Quanto terrore ebbero persino i mostri del mare! Fu un attimo: il fragore di un tuono sott’acqua rimbombò più alto, più terribile, e la nave s’inabissò simile a piombo.
Forte ruggì la tempesta e tanti uomini volarono verso Sud, per sempre. Il pesce non sentì né gemiti, né sospiri, ma per quattro volte vide cinquanta uomini vivi, cadere uno dopo l’altro, con sordi tonfi, inanimati pezzi.
Lo spasmo e le maledizioni con cui morirono non scomparsero. E il Pesce non poté distogliere gli occhi dai loro, né alzarli in preghiera. Immerso nella disperazione, comprese come ci siano idee, emozioni, pensieri del profondo che, espressi, diventano del tutto incomprensibili.
Fu allora che apparve un Essere Arcaico dall’aria scabra di primigenia bellezza:
“Che ce dicimmo a fa’ parole amare…”
“Chi sei? Da dove vieni?”
“Di Calliope sono figlia e vengo da tutti i mari del mondo. Non crediate alla favole inventate su di noi”, aggiunse dispiegando il suo prodigioso splendore.
“Noi non uccidiamo nessuno, noi amiamo soltanto”.
Ma la sua voce non rassicurò i Pesci, che rabbrividirono al remare di una ciurma, nell’acqua proprio sopra di loro.
La Sirena riconobbe quella gente e lanciò un grido spaventoso:
“Non voglio diventare umana! Se solo avessi io previsto tutto questo…! “ sibilò.
E ammutolì, non perché fosse muta: era il mondo ad essere diventato sordo.
Poi furiosa scandagliò, rovistò, frugò tra le cime perdute dal Vecchio Marinaio, finché ritrovò l’antica veste. La sciacquò, la risciacquò e la depose sull’isola. Sgranò gli occhi rotondi, mostrò i dentini aguzzi e spiegò le ali.
La Sirena ritornò solo molto, molto, molto tempo dopo.
Era una lontana sera di maggio e rivelò al Pesce di avere scoperto ciò che cercava.
“Che cosa” chiese lui, fingendo di non capire.
“Ho trovato l’eternità: è il mare mescolato al sole”.
E così come erano venuti, se ne andarono tra i colori che si scioglievano”
Daniela Morandini