“Troppo grande” gli disse Rosalia delusa, iniziando a piangere sommessa.
Senza aspettare che lei glielo chiedesse, si mise subito al lavoro, per scalfire la lettera l . Chi sei, chi sei, mormorò.
“Chi sono? Questa è quasi una buona domanda” lei gli rispose. “Sono chi hai voluto chiamare, ma sarei potuta essere l’entità confusa di ognuno”.
“uff…” sbuffò. “…se qualcuno si decidesse a ridurre tutto questo in cenere. Se ci lasciassero finalmente morire”.
“Chi sono?” la bambina fece un giro su se stessa come per rivolgersi a tutte le altre mummie.
Chi siamo? Qualcuno sembrò rispondere per lei. Siamo il passaggio sospeso in eterno. Siamo la fine, e questi corpi ci impediscono di finire.
“Per ora sono questo corpo” adesso la bambina aveva preso a urlare e tendeva l’esile braccio verso di lui. “ Corpo vero. Toccami…prendimi… lo senti… quanto sono vera…” .
Sentì sulla sua mano il tocco di dita liquide di ghiaccio.
“Chi sono, allora?” la bambina gli rimandò con rabbia la domanda.
“Rosalia”, lui rispose sommesso, mentre pensava che il vestito nuovo era di un rosso troppo acceso per la sua pelle pallida.
“E’ vero, forse. Ma ora già non più esattamente”, e vide che lei accennava a scomparire.
“Ti prego, non subito. Non oggi. Dammi ancora un po’ di tempo”, la supplicò.
“Il tempo… che noia…tutto questo tempo…”.
La vide dissolversi in uno sbadiglio. Lasciando nell’aria solo un tratto di voce. Per la domenica successiva, diceva, avrebbe voluto un paio di scarpe nuove. Di vernice rossa. Troppo vecchie, troppo sporche di fango quelle che portava.
(8- continua)