Ora era finalmente davanti a Rosalia, come sempre immobile al suo posto, ben sigillata nella sua scatola trasparente.Rosalia. Ro-sa-lia!!! , sillabò con forza.Rosalia… Rosalia… Rosalia… il nome si infranse in spirali di suono che gli avvolsero il cervello. Poi sentì freddo.Molto freddo.“Che silenzio, oggi. Non c’è stata l’ombra di un visitatore. Neanche uno di quegli stupidi turisti curiosi. Solo tutti questi morti. E’ stata una domenica insopportabile!”. La voce proveniva dal corridoio alle sue spalle. Aveva un timbro a un tempo profondo e debole.Si voltò e lei era lì, seduta sul gradino più basso della nicchia a destra.Il nastro rosa, i capelli appena ricomposti, il colorito tenue, appena più accentuato sulle guance, il colletto di pizzo lavorato ben sistemato. Si stava osservando la punta delle scarpe. Umidi di qualcosa di fangoso.Ro-sa-lia.Eccola, dunque. Virtù della parola pronunciata.Rosalia, sette fonemi messi in fila. Magico potere del luogo dell’identità.“Sei solo tu? Ancora solo tu?” gli sembrò delusa. Delusa e infastidita.“Allora? Non è stato per nulla semplice arrivare fin qua. Avevo appena iniziato ad allontanarmi…”Le movenze di lei erano molto lente, sembrava che l’aria stessa ne potesse frenare ogni movimento. La vide ricomporsi una ciocca dei capelli con un gesto stanco di centinaia d’anni. Per un attimo la vide vecchissima e provò un brivido di pietà e d’orrore insieme, mentre sentiva di essere prigioniero come d’un campo di energia che si era creato fra la bambina e la bara di cristallo, che sapeva ora vuota alle sue spalle. Tremò di paura e d’emozione: era stato lui a chiamarla e ora doveva stare bene attento a non deluderla. I morti sanno vendicarsi in maniera crudele.Si guardò intorno. I teschi alle pareti ondeggiavano in leggeri sussulti. Qualcuno accennava a cavi sorrisi. Il tono della luce s’era incupito. I tubolari del neon erano diventati simili a lingue di fuochi color viola e le estremità dei corridoi sembravano svanire nell’indefinito.(3-continua)