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    Rosalia. Quasi una fiaba… 9)

    Non fu semplice trovare un paio di scarpette rosse. Impiegò cinque giorni di ricerche, e solo il venerdì le scovò in un piccolo bazar di periferia.
    Sentiva che le forze cominciavano ad abbandonarlo. Non mangiava quasi più. Aveva definitivamente sospeso le lezioni e continuava ad ammucchiare sulla scrivania fogli e fogli di inutili, inconcludenti appunti. Persino il merlo sembrava aver pietà di lui. Continuava ad affacciarsi di tanto in tanto nel riquadro della finestra, ma senza più fischiare. Passò il piccolo corteo di un funerale davanti casa, il sabato mattina, e fu preso dall’ansia che arrivasse in fretta la domenica. Quando poté finalmente attraversare la città quasi ancora addormentata con sotto il braccio il suo regalo per Rosalia.
    Le scarpe erano troppo piccole. Tentò di scusarsi, ma la bambina ne fu arrabbiatissima. Tanto adirata che volle andare via senza dargli il tempo di parlare. Solo gli ordinò, quando fosse ritornato, di portarle uno specchio e che non dimenticasse di cancellare ancora un tratto del suo nome.
    Il professore la guardò infilare a fatica le scarpette rosse e trascinando i piedi allontanarsi per scomparire nel fondo della cripta.
    Rimase ancora lì, a scalfire con il temperino un altro tratto di targa. Lentamente. Molto lentamente. Quasi aspettando che lei ritornasse anche se solo per poco. Troppo breve era stato il tempo di quell’incontro. Provò un grande senso d’abbandono, quel giorno. Le mummie alle sue spalle sembravano tutte dormire. Profondamente.
    Aveva distrutto la a. Con un colpo solo cancellò la s. Pianse. Gli sembrava tutto così inutile, così pauroso, così crudele.
    Continuò a piangere, senza alcun pudore, mentre attraversava i camminamenti verso l’uscita. Si fermò a guardare ogni mummia, quasi chiedendo a ciascuna di scusarlo, di dargli comunque un aiuto, di indicargli una risposta. Ma gli sembrarono tutte così lontane e vuote. Sentiva l’aria completamente disseccata. Neppure dal passaggio buio, sul fondo dell’ultimo corridoio sulla destra, arrivava alcun rumore. Piangeva ancora mentre finalmente saliva le scale verso l’uscita, quando il padre guardiano gli venne incontro preoccupato. Era tardi, tardissimo, non poteva lasciare aperti i cancelli del camposanto fino a notte fonda, ma si sentiva bene? Si sentiva bene il professore? Voleva fermarsi a riposare un attimo, o voleva essere accompagnato a casa?
    Si lasciò condurre lungo il viale che portava al cancello d’ingresso. Attraverso un filare di cipressi interrotto a metà altezza da uno sghembo arbusto, carico di infiorescenze di colore rosso cupo. Sembrava un seme del tutto morto quando l’aveva piantato, vi accennò il padre guardiano. I cadaveri fioriscono sempre in novembre. Precisò il professore.
    (9- continua)

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