Ritornando da orizzonti sfarinati nella luce radente del mattino. Di densità impossibili, di latitudini passate. In agguato, pronte all’assalto. E si sente odore di mare senza che mare ci sia… E ritorna ancora tutta, la nostalgia del futuro. Del futuro passato, come al tempo di questi appunti di viaggio.
Tutto è iniziato a sorpresa, con un volo nel passato, tornato presente nel sonno, in sogni carichi di nostalgia. Il primo sogno. Il cortile era quello del vecchio palazzo di Santa Maria. Il pesante portone di legno, le pietre squadrate dell’ingresso, la scalinata, il ballatoio che corre tutt’intorno al primo piano, le finestre e le porte che vi si affacciano, l’aria calda di un pomeriggio di luce. Così carico di luce che il colore opaco delle mura trascolora in un bianco che quasi acceca. Tutto sembra lieto e lieve e, anche se nessun passo risuona sui balconi, il vuoto intorno al cortile sembra affollarsi del pensiero di tutte le persone, mai più riviste che lì, solo lì, era possibile aspettarsi di incontrare. E naturalmente lì sono. Anche se nascoste alla vista, se ne avverte il respiro. Ma non è concesso di più, troppo lunga è stata l’assenza. Il palazzo si anima solo della festa improvvisa di una banda di gatti che irrompe nel centro del cortile. Guizzante, gioiosa e crudele come solo una banda di gatti scalmanti sa essere. Bisogna scostarsi per evitare di essere graffiati. Il secondo sogno. Compare nuovamente la vecchia casa, lasciata per sempre sul limite dell’adolescenza. Ora sul ballatoio una delle porte è aperta. E’ l’ingresso all’appartamento dove sono cresciuta da piccola. La prima casa. Chissà da quale antro della memoria riaffiora. Le pareti hanno una nuova chiara luminosità. Sono state tutte dipinte di un denso bianco latte. Le zie si affacciano; silenziose e sorridenti invitano ad entrare, e mostrano soddisfatte e felici, indicando con larghi gesti delle mani, tutta quella luce bianca che colora le pareti, i tavoli, l’immmensa specchiera. La stessa che ha catturato le immagini di tutta la mia infanzia. Ricordi riemersi da chissà quale fondo nascosto dell’anima, e chissà perché proprio adesso. Ricordo allora confusamente le parole, le frasi lette prima di addormentarmi. Cerco il libro. Hesse, Dal paese di Siddharta. Rileggo. A pagina 123: “Noi veniamo , carichi di nostalgia, verso Sud, verso Oriente, spinti da un oscuro desiderio di patria, e qui, riconoscenti, troviamo il Paradiso”. Non so perché e quale il collegamento con il sogno. Ma poi ecco, due possibili parole chiave che si impongono: nostalgia e Sud. Certo, forse anch’io stavo per partire, e con tanta paura, con tutto il mio carico di nostalgia: del tempo delle origini, del tempo della madre; più semplicemente e terribilmente, piena di nostalgia del tempo e di tutte le mancanze e le assenze che oggi mi posso imputare. Sud, suono della terra dell’origine. Luogo della fuga e dell’impossibile ritorno.
Ripensando a questi appunti di un lungo viaggio, nel breve viaggio di un ritorno, con tanta nostalgia, per un futuro, che sia possibile.