Ci risiamo. 8 marzo e dintorni. Festa della Donna. Vi dirò… quest’anno al Gatto Randagio viene da pensare a quella sorta di donnina che fra due giorni compie gli anni e ha molto da festeggiare se nonostante abbia superato i sessanta si conferma essere intramontabile oggetto dei desideri. Stiamo parlando di Barbie. 29 centimetri di plastica diventati, grazie a una formidabile operazione di mercato, la bambola-merce per eccellenza.
Neanche a dirlo, mi ha fatto notare il Randagio, a Barbie la pandemia sembra fare molto, ma molto bene. E mi ha messo sotto gli occhi i dati che vengono dagli Stati Uniti: sembra che le vendite della bambola più famosa del mondo stiano raggiungendo cifre da capogiro. Si parla di un aumento del 29 per cento. E, certo, con tanto tempo costretti in casa, aumenta la richiesta di giocattoli per intrattenere i bambini, e le famiglie che possono… tanto che i dirigenti della Mattel addirittura temono di non riuscire a soddisfare la domanda che si prevede ancora aumenti.
Quale migliore regalo di compleanno per la signorina Barbie, che ha aperto gli occhi sul mondo il 9 marzo di sessantuno anni fa. Indossando un costumino zebrato e i capelli legati in una lunga coda, che, il Gatto, lo manda ancora in visibilio.
Ma questa volta io e il Randagio siamo in disaccordo. Vi devo confessare che la bambola più amata dalle bambine rimane, per me che di Barbie non ne ho mai avute né per la verità neppure mai desiderate, un davvero “oscuro” oggetto del desiderio. Così rigida, così poco accogliente, così poco carezzevole… pensavo da piccola, e penso tuttora.
Certo il suo affermarsi e dilagare è stupefacente.
Operazione commerciale straordinaria della Mattel, produttrice del giocattolo, che ha costruito per lei un mondo affollatissimo di vestiti, oggetti, sceneggiature che le ruotano intorno, da renderla quasi personaggio credibile. E ne fa subito una sorta di “influencer”, se vogliamo usare una terminologia contemporanea che a me fa venire i brividi. Bene accolta da chi vi ha visto “un’alternativa all’immagine della donna ritratta come casalinga”. Preoccupante per quei medici e psicologi che già negli anni 80 accusavano la bambola di indurre le bambine all’anoressia, per alcune “diventandone addirittura un’ossessione”. Come racconta, insieme a tanto altro, un bel saggio della storica Marianne Debouzy che quando uscì, una quindicina d’anni fa, andai a leggere per capirne qualcosa. E vale la pena di riprenderlo in mano.
Ripercorrendo la storia del famoso giocattolo, l’ideale di bellezza che impone, ma soprattutto la nascita e lo sviluppo del “Barbie pensiero”, Debouzy intanto si è chiesta “cosa significhi essere bambine nella società americana”… si è chiesta persino “se ci siano ancora bambine in questa società. Già negli anni Sessanta qualcuno ne dubitava…”. E sono interrogativi ancora di oggi, che non riguardano solo l’America, se di Barbie ne sono state vendute centinaia di milioni in tutto il mondo.
Certo, negli anni piano piano è stata ritoccata, per adeguarla ai tempi (e al mercato). Qualche frazione di millimetro di curve in più, poi arriva il modello con un incarnato marroncino (ma, accortisi che i neri non ne erano soddisfatti, fu allora presto lanciata sul mercato una bambola nera dai tratti somatici più marcati). E ancora nel tempo cambiano i vestiti, gli accessori, fino ad arrivare alle più politicamente corrette Barbie etniche, fino a coprire addirittura quel sottile corpicino con una tuta da astronauta. Due anni fa, (regalo per i suoi sessant’anni) Barbie ha avuto il volto (e la storia) di donne vere. Come Sara Gama, la calciatrice, per dirne una…
Ma, come fa notare Marianne Debouzy, si tratta appena appena di ritocchi d’immagine. Insomma, l’essenza di Barbie è rimasta sempre la stessa. Il mondo che le gira attorno è quello del consumismo e “giocare con Barbie significa essere iniziate al consumo come attività primaria”.
Lei è alta, bella, i suoi parametri sono sostanzialmente occidentali. E’ ricca e ha un’infinità di cose. Anche il suo uomo (il famoso Kent) sembra essere solo un accessorio. Fata di una fiaba moderna, così le bambine l’hanno vista e ancora la vedono, mettendo da parte il ruolo di madre al quale la bambola classica in qualche modo le preparava, ma saltando anche l’infanzia e proiettandosi subito, insieme alla bambola mai più bambina, in un mondo adulto “di guaine, abiti da sera e matrimoni precoci”.
E però, e però… “rimane pur sempre un giocattolo”. E nel gioco, per ogni bambino un grande ruolo ha sempre l’immaginazione, che non si sa mai fino a che punto può o non può essere condizionata. Rimane da sperare che “esista ancora un angolo nell’immaginario infantile estraneo ai condizionamenti della Mattel”.
Conclusione… “Non demonizziamo la bambola Barbie, ma cerchiamo di guardare con i suoi stessi occhi: la ‘barbificazione’ del mondo è giunta a buon punto”. E in questa direzione molto avanti si è andati nei quindici anni trascorsi dalle considerazioni di Marianne Debouzy, che già notava come “i valori e modelli proposti con Barbie sono ovunque intorno a noi”.
A proposito di barbificazione del mondo, quindi, dopo avergli letto il saggio della Debouzy, ho invitato il Gatto a guardarsi intorno…
E su un punto è d’accordo con me. Non ce ne vogliano le donne che, inseguendo il sogno di un’eterna bamboleggiante giovinezza, hanno scelto di investire tempo, danaro, e tanta emotività immaginiamo anche, nel sogno di una sorta di uniformità plastificata e immobile dei loro volti, ma è cosa che ci mette addosso molta tristezza…
“Magari fra un po’ ci caschi anche tu”, mi ha punzecchiato il Randagio.
Forse. Ma per ora, ancora considero questa “barbificazione” uno dei volti di una grande sconfitta, quella che così bene, già un decennio fa, Germaine Greer analizzò ne “La donna intera”, affrontando la questione femminile alle soglie del terzo millennio. Raccontandoci, fra le tante cose, di donne vittime del loro stesso corpo…
Pensiamoci.
E buon otto marzo a tutte.