Questa settimana, che cent’anni fa veniva completata la Transiberiana, mitica ferrovia nata al tempo dello zar…, rispunta fuori dagli appunti e dai ricordi una cartolina. La didascalia: Distretto di Jenisei ( Ehucev), Siberia, 1895. Domenico Morandini, fu Giovanni, di Osoppo, Friuli.
Un’immagine che arriva da una riva lontana lontana, nello spazio e nel tempo. Sfumato nel seppia sgranato del passato, ancora si scorge il ritaglio di cielo di quegli occhi celesti. Me l’aveva mandata, la cartolina, qualche anno fa Daniela Morandini, che Domenico è suo trisnonno, o qualcosa del genere, e per la Transiberiana aveva lavorato.
Chiesi allora a Daniela qualche notizia dell’avo, perché sempre emoziona e strugge scoprire una storia sia pur piccola (e forse proprio per questo) fra le tante che hanno composto la grande Storia del mondo. E con il trisnonno Domenico ha un nome e un volto uno dei novantamila operai che lavorarono alla grandiosa impresa che ha unito Mosca a Vladivostok.
“Domenico. Di lui si parla poco. Partì da Osoppo per andare a Mosca. Aveva gli occhi celesti. Perché i friulani, come diceva padre Turoldo, hanno gli occhi celesti a furia di alzare lo sguardo al cielo. A Osoppo, dove tanta gente aveva combattuto contro gli austro-ungarici, rimasero la moglie e i figli. Lui voleva lavorare al treno delle meraviglie. Vladivostoc, San Pietroburgo, Pechino… E laggiù, in Siberia, incontrò un’altra donna, e nacquero altri figli. Forse c’era anche lui, più tardi, nel 1900, a Parigi, all’Esposizione Universale, a parlare del Train Transiberièn. Chissà cosa fece ancora dopo, a Mosca, nel 1915. Di lui si parla poco. Ricordano solo che aveva gli occhi celesti. A furia di alzare lo sguardo al cielo”. Poetica Daniela… che ricorda quando i migranti eravamo noi.
Quando i migranti siamo ancora noi… Ho pensato agli occhi lontani di Domenico, e ai titoli di oggi sull’aumento degli italiani che vanno via, l’altra mattina, parlando con un giovane collega, e scrittore e filosofo, Giancarlo Capozzoli, che molto mi ero sentita onorata quando mi aveva chiesto, qualche mese fa, di partecipare alla presentazione di un suo libro, tanto mi era piaciuta la sua scrittura (“Lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”, ed Universitalia, per chi voglia andare a sbirciare…). Ho pensato a Domenico mentre Giancarlo mi parlava, piuttosto esasperato, del suo desiderio, che è già decisione, di allontanarsi per un po’ da questo paese, dove alla fine, con tutto il suo sapere, la sua bravura, il suo impegno, il suo generoso darsi ( è anche regista di lavori teatrali a Rebibbia), si trova a dover vivere con poche centinaia di euro al mese, perché tanto poco, se non nulla, sembra ci sia da offrire in questa Italia a persone come lui… che gli deve bastare di sentirsi ‘onorato’ se i suoi sempre interessanti, begli articoli, vengono pubblicati su testate di tutto riguardo, ma che a onorarli di un onorario sembra non sia neanche da discutere. E a guardarsi intorno, sono tanti come lui, in ogni campo e professione.
C’è qualcosa che non va. Qualcosa di tremendo in questo ‘tappo’ che stoppa intere generazioni, lasciando i più giovani a guardare da lontano, e neanche immaginarseli, i privilegi di generazioni più vecchie, che se ne stanno ben serrate nei loro recinti. C’è in questo un che di feroce e barbarico…
Forse un po’ semplificando, perché la situazione è ben complessa e i tempi complicati e bla bla… ma molto potrebbe cambiare, se cominciasse a cambiare qualcosa dentro di noi. Parlo di noi generazioni vecchie e a cui è andata bene…
Questo pensavo due sere fa, parlando con Pino e Mario, cui sono per vie diverse molto legata, ( e non ci si incontra e lega mai per caso). Parlando dunque degli interessanti traguardi raggiunti dall’uno, delle cose in passato fatte dall’altro, delle difficoltà di chi oggi si affaccia al mondo del lavoro… ho ascoltato parole stupefacenti, rare da cogliere sulla bocca da chi alla fine ( e non è stato semplice) in qualche modo ce l’ha fatta.
L’uno e l’altro in un momento della vita lavorativa hanno avuto e sfruttato appieno l’opportunità di creare lavoro per altri, per giovani. L’uno inventando uno spazio in una struttura pubblica, l’altro accompagnando dei giovani in un percorso di lavoro eccellente e certo in una struttura privata.
“La più grande soddisfazione, il mio più grande piacere in questi anni”, hanno detto entrambi, “non sono stati i progetti realizzati, i riconoscimenti, i soldi quando arrivati… ma la gioia negli occhi di quei ragazzi…”
“Dovevi vedere… una ragazza mi ha abbracciato che non le sembrava vero”, ancora emozionato Pino.
“Già, dovevi vedere… e pensa che qualcuno oggi ancora si ricorda di me”, ha sorriso Mario.
E non stiamo parlando di nuovi Adriani Olivetti, ma se non grandi sono stati i loro spazi di manovra, certo grande è lo spirito che ha animato e anima i loro orizzonti aperti…
Basterebbe, ho pensato ascoltandoli, sfondare il muro di tanti orizzonti ottusi. Quanti ne abbiamo incontrati e quanti senza magari rendercene conto abbiamo costruito…
Forse non c’entra nulla, ma forse c’entra molto… un appunto, leggendo “I misteri della donna, e dei principi femminili”, di Esther Harding, allieva di Jung, libro scritto a ridosso della catastrofe che sarebbe piombata sul mondo, pensando ai problemi mondiali e alle infelicità private che il dominio del razionale non ha risolto, anzi acuito… Pensando che fossero possibili altre soluzioni, che non la vittoria del barbarico sul civile, il suggerimento è di trovare la strada per conciliarci con il barbarico dentro di noi. Immaginando una rivoluzione interna agli individui che trovi un riequilibrio fra il potere del Logos, il principio maschile, che ordina, formula, domina, discrimina ( e il codice che ne è nato tante iniquità continua a produrre)… e il principio femminile, nascosto, oscuro e oscurato, che detta le leggi della relazione, che solo può metterci in contatto con le leggi della vita…
Acc… Forse il gatto sta andando fuori tema. O forse no. Ma ne riparleremo quando avrà finito di leggere il libro.