Da una riva vicinissima, che si nasconde, a volte, pur accanto a noi… “Pulce non c’è”, il racconto di una giovanissima scrittrice, Gaia Rayneri, che riesce a trasformare una vicenda terribile, vissuta da lei e dalla sua famiglia, in un romanzo delicatissimo e pieno di forza al tempo stesso. La storia di Pulce è la storia della sorella piccola dell’autrice. Pulce è affetta da autismo. Pulce beve solo tamarindo, fa sculture con il pecorino, ascolta Bach… Un giorno come tutti gli altri Pulce viene allontanata dalla sua famiglia. E nella maniera peggiore possibile. Alla mamma, che come sempre, va a prenederla, le viene detto che “Pulce non c’è “, che è stata portata lontano da una famiglia che, sembra, per lei non vada più bene… Solo in seguito si comprende, dagli interrogatori cui vengono sottoposti un pò tutti in casa, che sul padre grava il terribile sospetto di abusi e violenze nei confronti della bambina. Alla fine si scopre che nulla è vero… Tutto nasce da malintesi imperdonabili, anche da una certa ignoranza e arroganza… La cosa terribile, spiega l’autrice, è che fin dall’inizio “le prove dell’errore sono chiare”, ma intorno ci sono solo muri ottusi, e la burocrazia va avanti… E’ la storia, questa, anche di una sorta di perdita di lucidità collettiva.(…) Dovuta, fra l’altro, all’interpretazione sbagliata di frasi di dette attraverso la “comunicazione facilitata”. Che cos’è? Un metodo usato per permettere di comunicare a chi non parla. E consiste nell’uso di una tastiera sulla quale si compongono parole battendo i tasti. Solo che, il polso o il braccio di chi scrive deve essere sostenuto da qualcuno… Un pò come le sedute spiritiche col piattino, dice Rayneri. Se si scostano le mani dal tavolo su cui è poggiato il piattino… lo spitito non comunica più. Per la cronaca, è un metodo, questo della comunicazione facilitata, che negli Stati Uniti, ad esempio, non è ammesso come prova nei processi. Nella stragrande maggioranza dei casi, è risultato dia adito a informazioni false. Un dubbio: che quel che si comunica sia piuttosto nella mente di chi guida la mano, o che comunque chi non può parlare dia sfogo così ad un suo desiderio di protagonismo. Nel racconto ci sono i magistrati, le Asl, alcune insegnanti… figure fino a poco prima amiche quando non neutre, che diventano orchi, e che entrano come mostri nella vita della famiglia di Pulce. Racconta, Gaia Rayneri, con una capacità rara la burocratica ferocia delle carte. Che può stritolare. Non mi sembra un caso, che le pagine vengano attraversate dal fantasma di Kafka. Non è un caso, ribatte la scrittrice, che si chiami Giorni felici, dall’opera di Beckett, il centro dove Pulce viene portata… Kafka, questo signore lungo magro e inglese ( aveva un nome difficile, e si sa che come dice la nonna, i nomi difficili sono tutti inglesi) …. Si immagina facilmente il dolore che è dietro tutta questa storia, eppure nel libro non c’è un attimo di retorica, l’autrice riesce persino a far sorridere e molto esplicitamente punta il dito contro la retorica del dolore, che sembra anzi la cosa che la stupisca di più… Tutto da leggere, questo libro, che è, fra l’altro, tessuto di un lessico familiare tenerissimo. Quello che forse in qualche modo anche aiuta a uscire da “questo melodramma che, parola dell’autrice, qualcuno aveva deciso di inscenare nella nostra famiglia“. Una frase riportata anche nel retro della copertina: “Pulce non parla perché autistica, ma questo non significa che non abbia niente da dire“. Mettiamoci, dunque in ascolto…
“Pulce non c’è“, Gaia Rayneri, ed. Einaudi