Il diavolo, come si dice, si nasconde nei dettagli. Ed è un dettaglio di non poco conto, per chi è detenuto, il riconoscimento pieno del diritto al lavoro, con annessi e connessi, compresi dunque i diritti previdenziali.
Ne riparliamo, in occasione di una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Sez. Lav. n. 4651/2024) che ha riconosciuto il diritto dei detenuti a percepire l’indennità di disoccupazione anche nei periodi di pausa fra una turnazione e l’altra dei lavori svolti alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria.
Dettaglio di non poco conto se, sapete come funziona, per la stragrande maggioranza si tratta di lavori di breve durata, prevalentemente “lavoro domestico”, pulizie, distribuzione dei pasti, piccoli interventi di manutenzione…, soggetti, dato il gran numero dei detenuti e la scarsissima offerta, a continua turnazione, con pause anche lunghe fra un impegno e l’altro e senza alcuna garanzia di riassunzione del lavoratore nella stessa mansione.
Torniamo a parlarne perché non tutti conoscono i propri diritti…
Certo, in generale non pochi hanno agito in giudizio per avere riconosciuta la Naspi ed altre prestazioni socio assistenziali, contro un INPS che troppo spesso nega il riconoscimento di questi diritti… Ma mentre il diritto alla Naspi era già pacificamente riconosciuto in capo ai detenuti che avevano svolto la loro attività lavorativa alle dipendenze di esterni (e sappiamo si tratta di un numero davvero esiguo di persone), questo era negato quando il lavoro veniva prestato alle dipendenze dell’Amministrazione carceraria, anche se il datore di lavoro (esterno o amministrazione penitenziaria che sia) provvedeva al versamento della relativa contribuzione.
Già nel gennaio dello scorso anno, la Cassazione aveva stabilito che lo stato di disoccupazione derivante dall’interruzione del rapporto di lavoro intramurario per fine pena, con la conseguente scarcerazione, è involontario, quindi è rilevante ai fini del riconoscimento della Naspi, ma con la pronuncia di cui stiamo parlando siamo a un passo avanti. Il Giudice di legittimità, infatti, preso atto dei principi costituzionali e comunitari che regolano la materia, ha esteso la tutela Naspi anche alle interruzioni che dipendono da quella che impropriamente viene definita “turnazione”, ma che tale non è, stante che il numero di posti di lavoro disponibili è di gran lunga inferiore a quello delle persone detenute nelle carceri.
Vale la pena di ripercorrere la questione, perché, nello sconquasso totale, di drammatica illegalità del sistema carcerario… anche questo è un tassello di quel grande puzzle dei diritti che compongono la dignità dell’uomo e del lavoratore, ancorché carcerato…
Ne parliamo con l’aiuto dell’avvocato Enrico Miroglio Remondino, del foro di Genova, che per anni ha seguito in prima persona la vicenda davanti ai giudici di merito e a breve affronterà la medesima questione davanti a quello di legittimità.
Avvocato, dopo anni di contrasto giurisprudenziale, la Cassazione si è finalmente pronunciata. Cosa comporta e quali risvolti avrà questa pronuncia?
In estrema sintesi, la Cassazione ha correttamente equiparato l’interruzione del rapporto di lavoro per “turnazione ed avvicendamento” al mancato rinnovo di un contratto a termine. Ipotesi, questa che, al pari delle dimissioni per giusta causa, dà pacificamente diritto alla Naspi. Nella prospettazione dell’INPS, i periodi di disoccupazione tra un periodo di lavoro e l’altro non costituirebbero un’interruzione ma una mera sospensione del rapporto di lavoro. Inoltre, sembra assurdo, ma stante la sua natura semi-obbligatoria e la funzione rieducativa del lavoro in carcere, verrebbe a mancare il pre requisito dell’involontarietà dello stato di disoccupazione e da lì il mancato riconoscimento della prestazione. La Corte, censurando le osservazioni dell’INPS, ha ribadito che i detenuti non hanno alcuna prerogativa né in fase genetica del rapporto (su tipologia e condizioni contrattuali, su modalità e durata delle prestazioni) né in fase conclusiva (si tratta di una scadenza già prevista in contratto); è chiaro pertanto che la perdita dell’occupazione dipende esclusivamente da scelte ed esigenze datoriali che nulla hanno a che fare con la volontà del lavoratore detenuto.
Pensa che a questo punto l’INPS farà marcia indietro?
Purtroppo credo che, almeno per ora, continuerà ad applicare la propria Circolare. Del resto i detenuti a conoscenza dei propri diritti sono un’esigua minoranza, ed ancor meno saranno quelli in grado di farli valere in giudizio nonostante gli Enti di Patronato, ed in particolare il Patronato INCA-CGIL, offrano i loro servizi gratuitamente. Per cui, sperando di essere smentito, credo che all’Istituto convenga perdere qualche causa, piuttosto che riconoscere il diritto alla Naspi ad oltre 50.000 persone.
Possibile si debba per forza ricorrere alle vie giudiziarie? E chi non può rivolgersi a un avvocato?
“Ai sensi dell’Ordinamento Penitenziario (art.25 ter o.p.) l’Amministrazione sarebbe tenuta a fornire ai detenuti un servizio di assistenza all’espletamento delle pratiche per il conseguimento di prestazioni assistenziali e previdenziali e ad erogare servizi e misure di politica attiva del lavoro.
Ciò che nella pratica spesso non avviene a causa della macchinosità delle procedure, dell’assenza di informazione e della scarsità di investimenti (nonostante i benefici fiscali previsti dalla legge Smuraglia).
La gestione di queste pratiche è spesso affidata ad enti del terzo settore e singoli volontari che per ovvie ragioni non possono garantire la continuità del servizio”.
Quindi, a prescindere dalla Cassazione, nulla è automatico, e non tutti conoscono i propri diritti… Come e dove ci si informa, l’accesso agli enti di patronato non è semplice…, i tempi sono lunghi per chiunque, immaginiamo per chi è in carcere…
“Come ha correttamente osservato, tutto dovrebbe partire da una maggiore informazione della popolazione carceraria. Va detto in tal senso che gli educatori e i garanti dei detenuti sono molto impegnati su questo fronte, ma il loro lavoro spesso è reso difficile dal cronico sovraffollamento delle carceri, dalla scarsità delle risorse a loro disposizione e dalla mancata collaborazione (se non dal vero e proprio ostruzionismo) di altre Istituzioni.
Pensi che l’attuale Giunta Comunale di Genova rifiuta di concedere la residenza ai detenuti senza permesso di soggiorno reclusi nel carcere di Marassi, impedendogli di accedere a qualsiasi tipo di prestazione”.
Il settore carceri della Cgil, ne abbiamo parlato con l’intervento di Denise Amerini, lo scorso numero, è impegnato in questo senso. Voi avete una stretta collaborazione…
“Il mio Studio collabora con il Patronato INCA-CGIL da oltre trent’anni ed insieme siamo in prima fila nella tutela dei diritti di tutti i lavoratori, ancorché detenuti. Con specifico riguardo al lavoro penitenziario va segnalato il particolare impegno del Direttore dell’INCA di Genova Marco Paini e del Direttore dell’INCA di Asti Mamadou Seck nella gestione di tutte le pratiche amministrative provenienti dal carcere.
Questa esperienza, iniziata quasi per caso, mi ha spinto a pensare all’opportunità di costituire un’associazione a tutela dei diritti sociali dei detenuti che faccia attività di sportello all’interno degli Istituti di pena, assicurando, con continuità, informazione e consulenza a chiunque ne faccia richiesta”.
Scritto per la rivista Voci di Dentro