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    Presenze

    Al centro dell’inquadratura, nel raggio di luce, è una giovane donna. Ma forse è poco più che una ragazzina, con la sua bimba sulle ginocchia che sembra un bambolotto. Seduta sul bordo di un materasso scuro, accostato alla parete di mattoni senza intonaco. In secondo piano, nella penombra, due donne appoggiate alla parete, e accanto due bambine… Un sorriso, che sa di fiducia, sul volto delle due donne sul fondo. Mentre c’è timore, che supera e quasi cancella l’accenno di stupore, sul volto della giovane donna. La bimba sulla destra sembra persa in pensieri altri, che solo i bambini sanno.Tutti gli altri guardano verso il punto da dove entra la luce. Una porta, s’immagina, o magari solo una lacerazione più ampia del muro. E chissà quale l’epifania… Il titolo: Favela “Parque Leblon” Fortaleza 2011. Foto di gruppo dai toni caravaggeschi. Ed è la prima immagine che cattura all’ingresso della mostra che racconta l’opera di assistenza dell’Ordine dei Ministri degli Infermi. I Camilliani, da 400 anni in giro per il mondo seguendo l’insegnamento di San Camillo. San Camillo de Lellis, la cui storia forse non molti conoscono. Eppure fu in qualche modo il primo infermiere della storia. I compagni dell’ordine da lui fondato dopo una vita vagabonda e dissoluta, alla fine del ‘500, si dedicarono alla cura corporale e spirituale degli ammalati, fondarono case ed ospedali, insomma segnarono una vera rivoluzione nell’assistenza sanitaria. L’ordine è oggi presente in 50 paesi nel mondo, una scuola di carità che va oltre l’aspetto religioso, come ben racconta la mostra, al Vittoriano di Roma: una sequenza di istantanee di Guillermo Luna, fotografo argentino, che si alternano alle immagini in bianco e nero dell’archivio dei Camilliani. Molto belle le une e le altre, e il loro intrecciarsi ne moltiplica la forza. “Presenze”, il titolo. Molto evocativo, come evocativi del passato e di un presente spesso da noi rimosso sono i volti che da queste foto ci rimandano sguardi. Dall’India, da Haiti, dal Kenya, dalla Georgia. Ma anche da luoghi lì a pochi passi da noi. Dietro l’angolo della strada come dietro l’angolo della Storia…(…)

    Nella prefazione al bel libro fotografico che accompagna la mostra, che ancora molte altre immagini ci offre dai reportage di Guillermo Luna e dallo straordinario archivio dei Camilliani,  Padre Renato Salvatore, Superiore Generale dell’Ordine dei Ministri degli Infermi, spiega che “una storia per immagini è anche un’immagine di una storia: non si può cogliere tutto, perché quello che è vero rimane pur sempre intimo; e ogni immagine coglie la realtà di una particolare prospettiva focalizzando alcuni aspetti e trascurandone altri. Tuttavia le immagini non sono una finzione, ma un’utile finestra sulla vita dell’Ordine: da questa finestra si ha l’opportunità di spingere il proprio sguardo sulle epoche passate per capire il presente e meglio costruire il futuro”. E questo, aggiungerei, oltre la vita dell’Ordine, è pensiero che abbraccia anche più ampi orizzonti…

    Scorrendo lungo le pareti della sala che ospita la mostra fotografica, sfogliando le pagine del libro… Alcune immagini, difficili da cancellare. Ritratto di famiglia al capezzale del malato, ad esempio. 1940. Struggente, affollatissimo bianco e nero che ci ricorda di quando, solo ieri, c’era sempre almeno una sedia o una poltrona in camera da letto, quando “visitare gli ammalati” era comandamento dell’anima e piacere, anche, di relazioni da curare, da riaffermare. Da celebrare nelle case… Ancora. 1940, Sul fronte della povertà e della lotta alla fame: infagottata in cappotti scuri, una gremita, composta fila per il pane, o qualsiasi altra cosa… E poi, Tanti dubbi e tante paure per una nuova vita che arriva, a colori dall’India, forse solo ieri. E poi i corpi da ogni latitudine, nel tempo del colore come in quello del bianco e nero, che possono essere prigioni se nessuno arriva a sciogliere catene, a costruire ponti… Ma anche la levità di un gioco sulla neve che richiama la grazia delle immagini di Mario Giacomelli. O il tempo di un sorriso dal dorso di un cammello, da località imprecisata che sa d’Africa… Pochissime parole accompagnano le foto della mostra. Nessun commento, scarne didascalie. Come non sempre c’è una data, un nome, l’indicazione di un paese nel libro fotografico, densissimo però di “presenze”. Che diventano immagini pure. Che sono respiri, tracce, volti, sempre diversi e sempre uguali. Che sempre ci restituiscono l’Uomo. Ricordandoci quello che spesso dimentichiamo. La dimensione del dolore e del bisogno. Che riguarda i più della nostra umanità. E che dovremmo imparare a conoscere e riconoscere. Guardandoci intorno, guardandoci dentro.

     

    La mostra, al Vittoriano di Roma, fino al 23 giugno

    E per saperne di più:  camillodelellis.org

     

     

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