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    pensando alla “morte viva”…

    E va bene, remiamo un po’ contro… Visto che il calendario dice che in questi giorni si celebrano i morti, non resistendo alla tentazione di celebrare “quelli della morte viva”.
    Quelli che, come mi scrive dal carcere di Padova Giovanni Zito, “si potrà mai scontare una pena superiore alla vita stessa?”. Insomma i fine-pena-mai-ma-proprio-mai, che morti viventi li vogliamo per davvero. E come altro pensare persone che solo uscendo dalla vita potranno volare oltre le mura del carcere? Dove, scrive Carmelo Musumeci, “di notte il silenzio non è un silenzio normale, è silenzio che profuma di morte”. Insomma, come argomento per il 2 novembre ci siamo…
    Vi risparmio prediche, a volte, capisco, difficili da comprendere per chi non abbia mai messo piede in un carcere, per chi non abbia mai guardato negli occhi un fine-pena-mai. Abbiamo così misera immaginazione… Inizio invece parlando di un colore. (…) Il giallo. Il giallo delle mimose, per la precisione. Pensando a Mario Trudu, che “la pena dell’ergastolo, per chi la vive come me, è crudele e più disumana della pena di morte, perché quest’ultima dura un istante e ha bisogno di un attimo di coraggio, mentre la pena dell’ergastolo ha bisogno di coraggio per tutta la durata dell’esistenza dell’individuo”…
    Ebbene lo scorso anno, l’ho incontrato nel carcere di San Gimignano che si era vicini all’otto marzo. E Mario, che era pastore e il ricordo ( lontanissimo, è dentro da 36 anni) del mondo di fuori lo esercita quotidianamente anche disegnando, mi ha portato il disegno di una rosa. “Avrei voluto- mi ha detto un po’ imbarazzato- regalarti una mimosa. Ma… non riesco a ricordare… aiutami… com’è fatta una mimosa?”. Gialla, quei pallini tutti gialli… ho risposto a mezza voce, pensando al buco nero del tempo che ha ingoiato il colore delle mimose, e all’oscenità della chiusura definitiva al mondo di “quelli della morte viva”.
    Mi viene in mente, una storia che tanto ha da insegnarci a proposito dei meccanismi dei “delitti e delle pene”, di odio, paure e vendette, e delle vie possibili che portino alla riconciliazione. Che cascherebbe giusto giusto bene in questi giorni di cimiteri, lumini, preghiere, e colloqui attraverso le barriere del tempo. Titolo, “ParaNorman”. Delizioso film d’animazione per bambini (per bambini?, adesso che ci ripenso non ne sono tanto sicura), dai produttori, per intenderci, di quell’altro splendido film d’animazione che è “Coraline”. Qualcosa mi è sembrato questo film avesse da dire anche a proposito dei morti vivi, chiusi nelle nostre carceri. Ascoltate.
    Molto riassumendo, è la storia di un ragazzino, Norman, che con i morti sa parlare, perché li vede, perché sa che lo spazio e il tempo sono cose non definite e non definibili. Immaginatelo, guardare la tv commentando con la nonna, un’amabile vecchietta appollaiata sul divano… che sarebbe la cosa più rassicurante del mondo, per un ragazzino. Peccato che la nonna sia morta da tempo e questa confidenza sfrontata con chi non è più “ufficialmente” tra noi, inquieta e non piace. Non piace ai genitori, inquieta la sorellina, non piace ai compagni di scuola. Insomma non piace ad alcuno nel paese, che considera il nostro eroe persona da sbeffeggiare, se non da curare, comunque da tenere alla larga… Eppure sarà proprio Norman a salvare il suo paese dalla “maledizione della strega”.
    Era accaduto che tanti e tanti anni prima in quel paese era stata messa al rigo una “strega”. Il suo spirito, com’è comprensibile, aveva giurato vendetta, e il momento si stava avvicinando… Ma come convince il nostro eroe la strega a rinunciare alla sua rivalsa? Come la convince a placare il ricordo del dolore e le torture, e la paura, e l’infamia di un processo che l’aveva condannata al rogo che era solo una bambina?
    Ecco: Norman le spiega che gli uomini l’hanno uccisa per ignoranza e per paura, e la paura fa fare cose terribili. Fa condannare a morte, uccidere… fa accettare si compiano le cose più cattive, a danno di altri uomini, dimenticando che sono uomini anch’essi… Insomma, una semplice, grande lezione sulla via della riconciliazione.
    Mi è venuto in mente, e mi perdonerà per il confronto con un cartone animato, quanto detto da Gherardo Colombo in un incontro a proposito di ergastolo. Diceva, Colombo, che è con le persone che vogliono che continui ad esistere l’ergastolo e quant’altro che bisogna parlare. Cercando di capire la loro paura, perché è dalla paura di vedersi e riconoscersi in persone che si vuole altre e diverse da noi, che nasce la chiusura, l’ostilità… Nascono tutte quelle belle cose che l’uomo ha praticato, dai roghi in poi…
    Insomma, cosa vi propongo per il 2 novembre? Un cartone animato e la lezione di un ex-magistrato. Per sorridere di noi, e avere qualche buona indicazione. Magari ci verrà in mente di metterci in cammino per andare a bussare alla porta di una cella…
    “Tutto quello che la tua mano / Sarà capace di fare / Fallo finché ne hai forza /// Perché non c’è azione /// Non c’è invenzione /// Non c’è pensiero /// Non c’è sapere /// Nella Terra dei Morti dove andrai ”. Un respiro di Qohélet.
    Con l’invito, domani, giorno dei morti, a riempire i cimiteri del sogno impossibile di rami di mimose.

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