Randagiando intorno alla Pasqua… inciampando ogni volta nella figura di Giuda, che senza di lui forse nulla si sarebbe compiuto…
Giuda il traditore, dunque, quello che conosciamo tutti, nell’Ultima Cena di Leonardo, seduto alla tavola alla destra di Cristo, davanti Pietro e Giovanni. Ha l’espressione colpevole e impugna la borsa dei denari, mentre con il busto un po’ indietreggia, rovesciando agitato la saliera… che Cristo ha appena detto: “In verità, in verità vi dico, uno di voi mi tradirà”. E tutti gli altri stupiscono e s’interrogano.
Eppure. “Più di una volta avevano avvertito Gesù che Giuda iscariota era un uomo malfamato e che bisognava diffidare di lui”. Lo assicura Leonid Andreev, che così inizia il suo racconto, Giuda iscariota, appunto. Andatelo a leggere. Con un’avvertenza: c’è il rischio che alla fine ne resterete turbati e respinti e definitivamente attratti… Che il cristianesimo inquieto di Andreev, così personale, profondo, fuori dalla tradizione, ci restituisce l’immagine di un uomo che il tormento rende figura a tinte così forti, che tutti gli altri sbiadiscono intorno.
Ha un viso turpe, Giuda, astuto e maligno come “un diavolo guercio”. Ma Gesù pure lo accoglie, (…)gli ha affidato la cassetta del denaro e gli incarichi amministrativi. Ed è per troppo amore che Giuda perde il suo Gesù, sentendosi piuttosto lo strumento della redenzione, scelto per adempiere le Sacre Scritture. Giuda che, racconta Andreev, mentre portava a termine il suo tradimento, faceva di tutto per far fallire i propri piani. Giuda che, tornando al Sinedrio, con quella sua faccia da consumato mentitore, butta in faccia al sommo sacerdote i denari ricevuti per il tradimento ormai compiuto, gridando: “sapete chi era colui che avete ucciso? “… “non era un impostore, Giuda vi ha ingannati. Era innocente, Avete ucciso un innocente”.
E tornando fra i discepoli che gli raccontano che Gesù è stato crocefisso, chiede: “ e come avete potuto permetterlo? Dov’era il vostro grande amore?”
Quante domande, quanti tormenti. Quanto vicini alle nostre domande e ai nostri tormenti…
Dopo aver conosciuto Giuda attraverso lo scrittore russo, accanto alle immagini luminose della Pasqua, diventa impossibile non vedere l’immagine buia del luogo che l’iscariota, già prima della morte di Gesù, nelle sue solitarie passeggiate aveva scelto per uccidersi. Un’altura sopra Gerusalemme “dove c’era un solo albero, storto, tormentato dal vento che lo batteva da ogni parte”.
Un pensiero, oggi, per Giuda iscariota, accomunato a Cristo da un destino di amore e morte. Lui che “tutta la notte dondolò sopra Gerusalemme come un frutto mostruoso”. Che al terzo giorno non risorge, ma “viene gettato in un burrone profondo, dove si buttavano i cavalli e i gatti morti, e altre carogne”. E tutti, “i buoni e i cattivi, malediranno ugualmente la sua memoria, e , presso tutti i popoli che furono e sono, Giuda iscariota, il traditore, rimarrà solo nel suo crudele destino”. Che è ancora il nostro giudizio.
Ma il Giuda di Andreev, prima di spiccare il salto che gli tese il collo, cantò piano mormorando: “Vengo da te, accoglimi bene. Sono molto stanco. Poi tutti e due insieme, abbracciati come fratelli, torneremo sulla terra. Vero?”
Tutto il Bene e tutto il Male (condannato ad essere tale per il trionfo del Bene), abbracciati insieme…
Permettete l’azzardo, ma a questa immagine ho ripensato vedendo la scena quasi finale di “Lo chiamavano Jeeg robot”, declinazione italiana dei film sui supereroi. Nella scena, dunque, l’eroe buono e l’eroe cattivo, dopo una rincorsa estenuante, si stagliano nel cielo saltando da un ponte, avvinghiati l’uno all’altro nel tentativo, il cattivo di far esplodere una bomba, il buono, di disinnescarla. Entrambi disposti a morire, per compiere la propria missione. Film terribile e tenero a un tempo, che mi è sembrato, anche, inquieta metafora contemporanea sulla lotta fra il bene e il male. Dove tutto nasce, bene e male tragicamente intrecciati, nella terra comune della violenza, del denaro, della miseria, dell’ironia, della disperazione e dell’innocenza, delle periferia delle nostre anime. Mentre qua e là, sullo sfondo, a tratti fa eco l’esplosione di attentati. Ma non sai mai di quale violenza devi avere più paura.
Film terribilmente attuale.
Leggete il racconto, andate a vedere il film. “Lo chiamavano Jeeg robot” (sorprendente film d’esordio di Gabriele Mainetti, che già ha fatto il pieno di nomination al David di Donatello) fate ancora in tempo a trovarlo nelle sale. I racconti di Andreev non vengono ripubblicati almeno da una decina d’anni, se non mi sbaglio ( e vorrei sbagliami). Ma per fortuna che c’è la rete, con i suoi canali di vendita di cose vecchie e nuove… Qualche mese fa ne ho trovata addirittura un’edizione del 1955, dove c’è anche la storia di Lazzaro, altra narrazione come mai a noi vicina. Racconto sulla potenza della morte, che in realtà Gesù non sconfigge in Lazzaro. Semplicemente la ferma, perché Lazzaro, “miracolosamente risorto”, la diffonda come un contagio.
“Non sei bello davvero, mio povero Lazzaro. Sei addirittura spaventoso, povero amico mio. La morte non è rimasta oziosa i giorni in cui le sei imprudentemente capitato fra le braccia”…
Con un pensiero alla morte seminata intorno a noi, quella cui si scampa e quella che si infligge agli altri, uomini e bestie, celebrando riti, che pensiamo di vita, che vogliamo di morte…