Un po’ mie ne vergogno, ma proprio non lo conoscevo… prima che ne leggessi nell’articolo di Enzo Lavagnini che, a proposito di follie dell’uomo, ricorda “uno dei più vibranti ed efficaci atti d’accusa contro la follia dei governi e della guerra nucleare”: “Quando soffia il vento”, film d’animazione di Jimmy T. Murakami, comparso nell’autunno del 1986. E io che per i film d’animazione vado matta, sono andata subito a cercarlo, per colmare la lacuna…
Ha proprio ragione Lavagnini, che lo definisce “splendido esempio di delicatissima animazione d’annata”. Ha ragione soprattutto a riproporlo adesso che quella follia che pensavamo di avere lasciato alle spalle, insieme al tempo della guerra fredda, sembra stia ancora prendendo il mondo…
Come se la lezione della storia non fosse servita a nulla… Hiroshima, Nagasaki… le foto, i terribili documenti … tutto quello che abbiamo visto e tutto quello che non abbiamo visto ma possiamo immaginare… lasciato a sbiadire in un cassetto della memoria, sempre più sgranata, come il bianco e nero delle pellicole dei documenti di allora…
Ma il film di Murakami ridà a quella storia il colore del presente, ce la fa sentire tanto vicina, la fa entrare nelle nostre case, nei nostri corpi, nell’anima… perché di quella follia racconta l’insinuarsi, fino a stravolgerla, nella vita “normale” di tutti i giorni. Raccontando di una guerra nucleare che sorprende un’anziana, tenerissima coppia, che vive nella campagna inglese. Jim e Hilda, e le parole fra loro leggere…
“Ciao micia”, “ciao micio… passata una buona giornata?”
“Sono stato tutto il giorno in una biblioteca pubblica… Saremo tutti coinvolti, lo chiamano deterrente nucleare…”, “ Oh, chi ci crede più ai politici…. vuoi salsiccia o polpettone?”
“Salsiccia. Il fatto è che tutta la baracca potrebbe saltare in aria…” . “Quale baracca…?! Ti vanno bene le patatine?… Ma di che stai parlando?”
“Dicono che forse ci sarà la guerra…”. “Siamo sopravvissuti all’altra, sopravviveremo a questa..”
“Ma c’è di mezzo la storia del big bang…”
La guerra esplode tre giorni dopo, e per fortuna che Jim ha preso degli opuscoli ufficiali con le istruzioni su come affrontare l’attacco nucleare, e costruisce il suo improbabile rifugio in cantina.
“Guai a te se mi scortichi la vernice…”.
“Dobbiamo avere scorte per due settimane”, “Allora ordina il latte dal lattaio”.
“Ci colpiranno entro tre minuti”. “Allora devo sbrigarmi a lavare i panni”.
“Vieni nel rifugio cretina!”. “Non ammetto che ti comporti da villano solo perché c’è la guerra”. “Non dobbiamo uscire da qui per i quindici giorni dell’emergenza nazionale”. “Allora mi spieghi come lo vuotiamo il vaso da notte?”
Si fronteggiano, nella quotidianità ordinaria di gesti che ordinari mai più potranno essere, la cieca fiducia di lui nelle disposizioni del governo e il sommesso stupore di lei…
Ma quando le radiazioni infine invadono la casa, penetrano nei loro corpi… mentre Jim ancora “tranquilla micia, sicuramente i soccorsi stanno per arrivare…”, è Hilda a capire che invece è arrivata la morte.
Ha ragione Lavagnini, “Quando soffia il vento” è “poesia pura”. E, come solo può la poesia, va diritta all’anima, portando la verità come null’altro meglio sa fare.
Lo spettro della guerra nucleare s’insinua come un tremito sottile. E sono andata a ripescare un vecchio libro…
Titolo: Perché la guerra? Scambio di lettere fra Einstein e Freud.
Erano gli anni venti. Per la precisione, la lettera di Einstein a Freud è del luglio del 1932, La domanda di fondo che Einstein pone è: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?… Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione?”
Domanda che appare “nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà”.
Non riassumibile la lunga, articolata risposta di Freud, che però conclude che “tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra”. E considera forse non utopistica, nell’avvenire, la sua fine.
Riflessioni… più di un decennio prima che venisse avviato il progetto Manhattan. Ma il carteggio fra i due scienziati, quest’interrogarsi su dove va il mondo, e su cos’è il male e cos’è la violenza, e cos’è la morte, e su quanto l’enormità della prima guerra mondiale avesse cambiato l’atteggiamento nei confronti della morte… sembra nascere dal presentimento della catastrofe. Da rileggere, rileggere assolutamente, per non perdere il prezioso messaggio dei due scienziati, perché è quanto mai ancora vero che l’avvenire di cui parlano è ancora il nostro presente.
La preziosa edizione che ho fra le mani (Bollati Boringhieri, dell’89), ha un’introduzione di Ernesto Balducci. Ritrovo sottolineata, fra le tante, questa frase: “Lo Stato è un parto della violenza, e se questo. in tempi normali, non appare là dove è in vigore lo stato di diritto, è solo perché in questi casi lo stato rivendica per sé il monopolio della violenza, come per il sale e i tabacchi”. Parole quanto mai vere… per cui “l’unica iniziativa cui converrebbe affidarsi è quella di cui fossero protagonisti gli uomini come tali, che hanno in sé, accanto e contro la pulsione dell’aggressività, anche la pulsione unitiva dell’eros”
L’Uomo dunque. E sembra che mi legga il pensiero il Gatto Randagio… che mentre prendo questi appunti mi porge un altro libro…
La nube purpurea, dello scrittore di origine irlandese Matthew Shiel. Shiel racconta di un viaggio attraverso la terra affollata di morti e relitti, dopo il passaggio di una grande nube che ha steso sul mondo un velo pupureo, dal sottile profumo di fiori di pesco e di mandorle amare. Gli scrittori sanno spesso raccontare, e prevedere a volte, la vita del mondo meglio di qualsiasi cronaca. Il romanzo di Shiel è del 1901. L’alba del secolo scorso. Quattro decenni prima della pioggia di morte di altre nubi sterminatrici. Che sarebbe caduta senza l’accortezza della poesia di quel delizioso profumo di fiori di primavera che, nel racconto di Shiel, così dolcemente si mescola all’odore della decomposizione dei corpi.
Ma nel romanzo l’umanità sterminata dalla nube purpurea, comunque, rinascerà. Rinascerà dall’incontro dell’io narratore con una donna ( loro due unici sopravvissuti alla catastrofe), con la quale il protagonista deciderà di generare ancora. Nonostante i tanti dubbi che ha sull’umanità…
Sì, ha proprio ragione Enzo Lavagnini. Poesia pura
La guerra fredda
Parliamo del film, , ossia
Gli anni 80, che originano direttamente il film, sono stati anni di una guerra nucleare sempre incombente, per errore umano o per bellicosità di una delle dusuperpotenze che si fronteggiavano nella sempre più aspra “guerra fredda”. Il mondo intero ne era attanagliato. Manifestazioni di pacifisti invadevano le strade delle metropoli. Il 7 novembre 1985, Reagan e Gorbaciov a Ginevra, ammisero addirittura la possibilità concreta di una guerra nucleare non intenzionale, ossia l’inizio di ostilità causate da un errore tecnico o umano.
In questo clima di paura da atomica si situa la poetica ed emblematica storia di Jim ed Hilda, una tenera coppia di anziani inglesi.
agna nel remoto Sussex. Una vita fatta di piacevoli ripetizioni di gesti uguali, di scambi di parole conosciute a menadito e soprattutto di un affetto duraturo.
Un giorno Jim, un brav’uomo ritirato dal lavoro, prende alla biblioteca comunale un opuscolo nel quale il governo spiega ai cittadini come comportarsi in caso di emergenza atomica. Per i più sembra ancora un’ipotesi vaga, ma quando la radio annuncia che l’Unione Sovietica è effettivamente pronta a lanciare un attacco nucleare sulla Gran Bretagna, Jim allora non se ne preoccupa più di tanto, convinto com’è che proprio il governo saprà rimediare a tutto. E siccome lo chiede il governo, nonostante tutte le manifeste perplessità e ritrosie della moglie, Jim decide di seguire le istruzioni, talune davvero ridicole, del manuale (tra l’altro, un volumetto realmente esistente all’epoca, poi prontamente ritirato dalla circolazione).Jim è metodico e disciplinato, un cittadino britannico esemplare: in modo scrupoloso prende tutte le “precauzioni” suggerite dalla pubblicazione, giusto poco prima che esploda il conflitto nucleare.
Purtroppo il rifugio antiatomico auto-costruito, ottenuto con un discutibile bricolage, mettendo assieme porte ed altri suppellettili della casa, è del tutto inutile, così come lo sono inutili le altre “meticolose” istruzioni dell’opuscolo.
In breve i due coniugi si ritrovano tagliati fuori dal mondo e senza viveri; non sapendo come comportarsi escono di casa e si ritrovano così esposti senza rendersene conto al fallout nucleare. Rientrati nella loro casa distrutta, nella loro struggente ingenuità, Jim e Hilda verranno lentamente avvelenati dalle radiazioni senza mai smettere di sperare fino alla fine che una qualche squadra di soccorso giunga e li salvi. Hilda: “E meglio star qui buoni buoni e aspettare che arrivino i servizi di emergenza”, Jim: “Certo, certo vedrai che loro ci tratteranno benissimo. Ci cureranno. Non dovremo preoccuparci di niente. Proprio così: lasceremo fare tutto a loro”.
La distanza che corre tra la gente comune, inerme e fiduciosa, ed i governi è invece enorme ed insanabile.
Il film è un capolavoro che mescola all’animazione “vecchio stile” alcune sequenze, molto efficaci, di repertorio o di riprese dal vivo ottenendo un melange nuovo, pieno di fascino e capace di suscitare di partecipazione tutt’oggi. La title song di David Bowie, il commento musicale al film di Roger Waters contribuiscono a fare di Quando soffia il vento un film che resta come scolpito nel tempo, per eleganza, misura, per l’importanza del contenuto. Poesia pura.