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    Non si uccidono così i cavalli…

    autoritratto“Non si uccidono i cavalli di razza a quel modo, ci sono cavalli nati e cresciuti in una stalla lussuosa, ma ci sono anche quelli nati nei pascoli brado, dove per sopravvivere si spaccano ogni giorno gli zoccoli, ma non per questo sono figli di una razza inferiore a coloro che sono nati in una stalla di lusso..”…
    Quasi un presentimento, un terribile presentimento, in una pagina che qualche settimana fa mi ha mandato Mario Trudu. Che oggi non c’e’ più. Si’, Mario Trudu, l’eterno ergastolano di cui sempre vi parlo. E’ morto dopo sofferenze che non vi sto a raccontare… Era da tempo malato. Dopo appelli e denunce, da pochi giorni aveva vinto la battaglia per curarsi fuori dal carcere. E sa Monica Murru, l’avvocato che al suo fianco l’ha combattuta, quanto lunga e dura, esasperante, a volte. Ma troppo tardi. E’ passato da quarant’anni al buio di una cella a un letto d’ospedale in condizioni già estremamente gravi.
    Non si uccidono cosi’ i cavalli, di qualsiasi razza siano..
    Mario Trudu, che ha subito una prima condanna per un reato che ha sempre giurato di non aver mai commesso. Che si e’ sempre pienamente assunto la responsabilità del reato poi commesso, diceva, come reazione (per quanto abbia poi capito quanto sbagliata) alla prima grande ingiustizia subita.., Mario che mi ha confidato che nessuna pena avrebbe potuto cancellare il rimpianto per il male commesso, ma che pure era convinto che il suo debito con lo stato l’aveva pur pagato (e ditemi se quarant’anni sono pochi)… e per una vita intera ha avuto la forza di affrontare “sa justithia mala”.
    Ma sa justithia mala, non ha voluto vedere il percorso che pure in questi quarant’anni Mario ha compiuto. Cosa importa, Mario Trudu era un ostativo, imbrigliato per sempre dalle norme varate dopo le grandi stragi di mafia, perché non e’ stato collaboratore di giustizia. Pentito magari nell’animo, sì, ma evidentemente non e’ questo che importa… e quante persone come lui…
    Mario Trudu che sempre diceva: “ma che c’entro io con Falcone e Borsellino, se quando sono stati uccisi ero in carcere, già definitivo, dal 1979, e neppure sono siciliano…”
    Ma questa è l’ostatività, bellezza! (tanto cara a chi oggi leva gli scudi contro la pronuncia della Corte Costituzionale che, finalmente, sancendo l’incostituzionalità di quelle norme, ci riporta alle regole). E non importa che svela la terribile contraddizione di un sistema che dichiara di voler rieducare e riportare alla società i suoi figli che sbagliano ma nei fatti tradisce se stesso. E che c’entra poco con la tanto sbandierata lotta alla Mafia… che certo non viene sconfitta tenendo in carcere fino alla morte, negandone i diritti più elementari, chi ormai con il crimine non ha più nulla a che fare. Ma qualcosa bisogna pur dare in pasto alla fame di certezze e sicurezza della gente…
    E chissà come ci sentiamo tutti più tranquilli ora che Mario è morto.
    In una delle sue ultime lettere mi ha scritto, ricordando…
    “Dopo il primo arresto, un giorno mia madre durante un colloquio mi bisbigliò all’orecchio:
    -Mario… quando io e tuo padre ti abbiamo creato è come se ti avessimo impastato con la sfortuna, soffro ogni giorno e ogni notte per il tuo stato d’incatenato innocente, ma sono fiera di te perché so di avere creato un uomo vero, forte. Tu sei in grado di superare tutto, compresa questa terribile ingiustizia, non arrenderti mai. Oggi posso dire che aveva ragione, anche se credo che nemmeno lei fosse certa che io fossi tanto forte. Sicuramente disse quelle parole per far coraggio a suo figlio che si trovava in grosse difficoltà. Penso che quelle parole dette da mia madre, poco tempo prima che morisse, abbiano avuto una parte importante perché io restassi in piedi fino alla fine”
    Pensavo che Mario anche questa volta restasse in piedi, e che prima o poi ce l’avrebbe fatta, a vedere almeno per un’ora la sua casa, a dormire in un letto normale, ad affacciarsi a una finestra, a rivedere i suoi monti, il suo paese, il cui ricordo, fortissimo, è stata la cosa che in tutti questi anni lo ha tenuto in vita. Almeno un briciolo di vita…
    23. alberoLo confesso, ho pianto, volando in Sardegna appena saputo della sua morte. Perché eravamo diventati amici, perché quando mi è stato permesso di frequentarlo molto da lui ho imparato. Degli uomini e della vita. Molto ho imparato anche della sua terra. E ho imparato ad amarla anch’io l’Isola di cui con gli occhi lucidi sempre mi raccontava.
    Avevamo ancora un progetto insieme. Pubblicare “La mia Iliade’. Già, perché Mario conosceva a memoria l’Iliade, e nel suo ultimo racconto immagina, ogni volta che la vita del carcere diventa particolarmente insopportabile, di uscire dal mondo buio della sua interminabile prigionia, per viaggiare nel tempo e incontrare i suoi eroi. Achille, Ettore… e si commuove davanti agli atti di eroismo, e piange davanti al dolore degli altri, piange, alle porte dell’Ade, sul cadavere di Ettore, sulla tomba di Ifigenia…
    Sono venuta nella sua Arzana con il manoscritto che avremmo dovuto rivedere insieme. Gli ho promesso comunque che sara’ un libro. E lo faro’, anche se ora dovrò finire il lavoro da sola. Glielo devo. Si fidava di me, del mio maneggiare la sua scrittura senza alterarla, mi ha detto un giorno, e questo e’ un gran bel complimento…
    Riposa in pace, avrei voluto dirgli salutandolo per sempre. Ma io so che non c’è subito pace per chi in pace neanche un attimo è potuto vivere… Si aggirerà ancora un po’, Mario, da queste parti, per ricordarci che nessuno di noi è completamente innocente, e quanti di noi portano la propria pietruzza a ingrossare la montagna di ingiustizie del mondo…
    Resterà ancora da queste parti per qualche tempo. Poi se ne andrà su per i suoi monti che ha amato tanto. Sceglierà un bosco, che è santuario, luogo intermedio fra la terra e il cielo. E sparirà. Ma non prima di essersi affacciato lungo uno di quei pendii, di cui mi parlava illuminandosi tutto, e vedere, almeno per una volta, rifiorire gli asfodeli…

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