“New York. Bagliore di vetri che incanta. Città verticale. Foresta di linee. Rette che nascono da un punto della terra e fuggono verso l’alto, oscurando il cielo. Dita di cemento e vetro che pretendono di toccare l’infinito. Una sfida oscena che ha il sapore della bestemmia. Di scommesse già perse. Un’incantata foresta di specchi. Dove la propria immagine può moltiplicarsi all’infinito, e non c’è nulla di più esaltante. Ma dove si può anche rischiare di diventare meno del niente che nello smarrimento si teme di esere già diventati. Ah, New York! Anche a me che tanto l’ho amata, dove in tante occasioni ho cantato e ballato e gioito, a volte è sembrata solo ombra cupa di grattacieli. L’ho vista anch’io perdere la consistenza della materia e trasformarsi in linee aeree di suono acuti. Come tracce di note in fuga scappate via dal pentagramma. Un’eco surreale delle grida che muoiono, appiattite sull’asfalto”. da Angela, angelo, angelo mio… New York. A proposito di fughe…