Ripensando, a una scritta letta un qualche fine o inizio d’anni fa sul muro di un vicolo di Napoli, fra San Gregorio Armeno e Santa Chiara. “Un muro pulito è un muro morto”, diceva, la scritta. C’era accanto, disegnato, il profilo di un corpo, disteso e morbido, come corpo ondeggiante di sirena, e peccato che non l’ho fotografato… avreste visto anche voi come quel corpo dolcemente dondolava, e come tutto il vicolo seguendone incantato il movimento palpitava.
Così ho pensato possa sussultare di nuovi respiri il parco dell’ex manicomio di Santa Maria della Pietà. Dove un progetto di street art ha regalato nuova vita a mura di padiglioni fino a poco tempo fa abbandonati. Per la cronaca, Caledoscopio è il titolo del progetto, e l’idea è “di far vedere il bello anche in luoghi difficili come questo, attraverso i colori dell’arte urbana”. Così muri fino a ieri spenti sono oggi gonfi dei colori della vita che raccontano, nella leggerezza di uno sprazzo di farfalle che volano libere verso il cielo fuggendo da una porta socchiusa, nel tormento di mani che si cercano, in abbracci, in cieli di stelle e prati, in corpi di donne… che chi lì dentro ha vissuto la terribile vita reclusa del tempo dei manicomi, mai ha potuto carezzare…
Ma prima di perdersi nei colori dei dipinti che i tanti artisti hanno regalato al parco, l’invito è a percorrere il viale che porta al padiglione 6, dove oggi c’è il “Museo della mente”, e andare nella sala dove, su una lunga lastra trasparente, è riprodotto un cenno di un’opera che è stata monumentale e, a pensarci, lascia senza fiato. (…) Sulla lastra del museo troverete un piccolo assaggio delle scritte e dei disegni che circa mezzo secolo fa incise su un muro Oreste Fernando Nannetti. Nof4, il suo pseudonimo, una vita reclusa dall’età di dieci anni, che nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Volterra coprì le pareti esterne del padiglione Ferri di scritte, disegni, calcoli, lettere… Per quindici anni su quel muro, lungo 180 metri e alto due, giorno dopo giorno appuntò pensieri, deliri, visionari racconti fantascientifici, sogni…, scavando nell’intonaco con la fibbia della cintura della sua divisa da internato. Trasformando quel muro in uno stupefacente libro di pietra, tanto che il suo lavoro è stato considerato un capolavoro dell’Art Brut.
Un capolavoro con il quale documenta, anche, Nannetti, i crimini ai quali ha assistito, la violenza che ha popolato il suo tempo, con immagini poetiche, con immagini crudeli… “Grafico metrico mobile della mortalità ospedaliera: 10% per radiazioni magnetiche teletrasmesse 40% per malattie varie trasmesse o provocate 50% per odi e rancori personali provocati o trasmessi” … “ mancanza di amore e di affetto…”, scrive sul muro, al quale ha affidato la sua vita negata, lui che pure, raccontano, scriveva, senza spedirli, bigliettini e lettere a immaginari parenti, mai avuti e chissà quanto desiderati.
Su Oreste Fernando Nannetti è stato scritto, c’è anche un documentario sulla vita di questo artista che si dichiarava colonnello astrale, ingegnere astronautico minerario nel sistema mentale collegato al sistema telepatico, e tanto altro ancora. Come tanti inesistente per il mondo, e se pensate che a renderlo “indegno” e spedirlo in un ospedale psichiatrico, fu un processo per oltraggio a pubblico ufficiale, accusa dalla quale fu prosciolto per vizio totale di mente… Ma i “matti”, si sa, sono pericolosissimi… La sua storia è di quelle che fanno venire i brividi, ma proprio si ghiaccia il sangue anche solo sfiorando la piccola riproduzione della sua opera, sulla lastra trasparente che come una ferita taglia longitudinalmente un’intera sala. Ricordando quel muro che ha urlato per lui, quando intorno c’erano occhi che non volevano vedere, orecchie che non volevano sentire…
E così pure, viene da pensare, Nof4 ha dato fantastica vita a quel muro che prima di diventare straordinaria pagina di uno straordinario racconto, era solo un morto contenitore di morte…
E mi ha portato lontano, questo muro urlante, all’impronta di una mano lasciata circa trentamila anni fa sulla parete della caverna di Chauvet-Pont-d’Arc, nel sud della Francia. Ancora calda, sembra, la parete, della mano dell’uomo che così, in qualche modo dicendo “io esisto, io sono qui”,
ha proclamato la sua esistenza in vita.
E il diritto all’esistenza in vita a pieno titolo raccontano oggi i dipinti sui muri dei padiglioni del parco del Santa Maria della Pietà, lavoro al quale, qua e là hanno partecipato anche bambini delle scuole del quartiere…
Già. Ed estendendo il concetto della scritta sul vicolo napoletano… “muri puliti, popoli muti” viene da pensare, rubando la frase a un altro graffito, che è diventato fra l’altro anche il titolo di una ricerca sul graffitismo a Roma, autore Nicola Guerra, che molto incuriosisce…
Invito dunque ai popoli a “parlare”. E non solo sui muri. Pensando all’immagine, che vi regalo, di un angiolino che Emanuela Bussolati (architetto, che invece di case e grattacieli ha scelto di progettare e illustrare libri per bambini, straordinario architetto dei sogni, dunque direi) aveva disegnato tempo fa sull’asfalto di non ricordo più quale città, “in difesa del diritto costituzionale alla cultura, alla scuola, all’arte…”. Lo vedete? Chiude gli occhi e fa finta di suonare mentre, spiega l’autrice, ascolta le note di un angelo di Rosso Fiorentino, al quale il disegno è ispirato.
Insomma, ancora un augurio. Che l’anno nuovo liberi le nostre vie da ogni morto nitore…