“Io non sono indignata per la scarcerazione di Verdini. Sono indignatissima per la permanenza in carcere di tutte le altre persone a rischio covid al pari di Verdini! Che sono bambini al seguito delle madri, anziani, ammalati gravi di varie patologie, disabili, persone in custodia cautelare, migliaia di persone a cui mancano pochi mesi per uscire, ma non escono perché condannati per reati “ostativi”… Se poi andiamo a vedere la composizione della popolazione detenuta, l’80 per cento è composta da persone colpevoli di povertà, emarginati facilmente ricattabili, migranti…”
E come non essere d’accordo con Sandra Berardi, presidente di Yairahia, l’associazione che si occupa di diritti dei detenuti, che molte ne ha visitate di carceri. Indignazione, e insieme smarrimento, tristezza… e tutto quel subbuglio di sensazioni che ti rimangono incollate addosso quando si ha un’idea di cosa il carcere realmente sia… L’ex senatore di Forza Italia ha ottenuto i domiciliari per motivi di salute e dopo l’aggravarsi dell’emergenza covid nel carcere di Rebibbia dove era recluso per una condanna definitiva a sei anni. Bene, benissimo. Ma gli altri? Gli altri nelle stesse se non peggiori condizioni di salute? La salute evidentemente non è un diritto di tutti…
E ritorna lo smarrimento, la tristezza, il senso di impotenza provati ascoltando, in un incontro di quelli che di questi tempi corrono sul filo del web, le parole di Domenico Ribecco. Vale la pena di ascoltare la storia “che ha colpito purtroppo mio padre, come potrebbe colpire chiunque altro, una vicenda che ha dell’assurdo”.
Una storia che Domenico continua a ripetere a chiunque lo voglia ascoltare…
Domenico, figlio di quell’Antonio Ribecco morto in carcere, fra i primi per covid, all’inizio d’aprile dello scorso anno. Era da qualche mese a Voghera con l’accusa di essere boss della ‘Ndrangheta in Umbria.
“Non era neppure stato rinviato a giudizio… quindi era solo una misura cautelare e non posso difendere neanche la dignità, il nome di mio padre, perché purtroppo è andata così…”
La voce di Domenico è ferma, ma ha il tono gentile e senza rabbia, come gentili e senza rabbia sono i suoi occhi tristi…
“Aveva dolori reali ma nessuno ci ha creduto. Ci sono testimonianze di persone che dicono che i dottori si sono rifiutati di visitarlo, c’è un testimone che dice che il carcere stesso imponeva di non usare i dispositivi di protezione perché sennò si creava allarmismo fra i detenuti. La direttrice poi ci ha fatto rispondere che il carcere aveva fatto tutto quello che era necessario per salvaguardare la vita di mio padre… ma mio padre è stato 15… 16 giorni in sezione con altri detenuti e aveva dolori, difficoltà respiratorie, febbre alta, tosse…”
Poi un giorno arriva la chiamata del familiare di un altro detenuto: “Guarda che tuo padre è stato trasferito…”
“Io avevo già letto in rete di un detenuto di Voghera trasferito in ospedale, si diceva anche che i familiari erano stati avvertiti… dunque non eravamo noi”.
Nell’articolo si parlava anche del fatto che il virus era stato contratto il 27 febbraio durante un colloquio con i parenti… Ma il colloquio con i familiari Antonio Ribecco l’aveva avuto in altra data, molto prima, quindi escluso che fosse lui. “E invece era mio padre. Io chiamo il carcere per sapere… al centralino mi dicono che non possono darmi questa informazione”.
Il padre di Domenico muore, e per i familiari inizia la seconda fase del calvario, fatto di non risposte, di ostacoli, di tempi estenuanti… per sapere magari che “non ci hanno avvisato del ricovero perché ‘non esisteva il pericolo di vita’… ma sappiamo tutti che quando una persona dal carcere viene trasferito in ospedale ci deve essere per forza il pericolo di vita, se no neanche lo trasferiscono, ed è quello che poi è riportato nella sua cartella clinica, e sono ancora senza parole…
mi sembra veramente poco umano, come poco umani i commenti che poi ho ricevuto…”
La brava gente, l’opinione pubblica aizzata da quattro paroline buttate lì in un titolo: “boss della ‘ndrangheta morto in carcere per covid”.
“Era un boss… prima ancora che una sentenza lo decretasse, neanche rinviato a giudizio… Io penso che al di là delle persone che sbagliano, e dico fortemente che mio padre non era questa persona che le accuse volevano dimostrare… però al di là di questo, dietro alle persone che stanno in carcere ci sono delle famiglie, ci sono parenti, ci sono tante persone che gli vogliono bene… e invece si cerca di fare presa sull’opinione pubblica facendo passare il concetto che ‘siccome era boss non meritava le cure’. Ma c’è una costituzione ci sono dei diritti…”
I diritti…
Vale la pena di ricordare che il diritto alla salute è diritto qualificato come fondamentale nella nostra costituzione. Articolo 32. E riguarda tutti, ma proprio tutti, anche i più cattivi. Soprattutto se in condizioni tali che della loro cattiveria non sanno più che farsene…
Ma c’è sempre quella strana idea di presunta sicurezza che ci “autorizza” a dimenticarlo. Penso a Francesco Bonura, certo persona “cattivissima”, a pochi mesi dall’aver scontato la sua condanna a 20 anni aveva ottenuto i domiciliari perché malato di tumore. Ributtato in carcere dopo un polverone mediatico. Giusto in tempo per morire, in carcere. Bonura e non solo… così siamo tutti più tranquilli. E penso a certa politica che quella strana idea di presunta sicurezza cavalca, la stessa politica che, ci ricorda ancora Sandra Berardi, “va a solidarizzare con chi adesso è sotto inchiesta per le denunce di torture e pestaggi a S. Maria Capua Vetere, a Foggia, Modena…”
Magari poi si scoprirà davvero che i tredici morti delle rivolte di marzo sono morti per overdose. Magari, “overdose di carcere”…
Tornando a Domenico e alla sua triste vicenda. Non so se mi ha fatto più tristezza o tenerezza alla fine il racconto del suo smarrimento: “Ci siamo trovati veramente spaesati anche perché era la prima esperienza con il carcere e veramente senza armi…”
Già, chi il carcere non lo conosce… “Adesso però abbiano fatto le denunce, sono in corso le indagini della procura così come quelle difensive ma gli ostacoli sono tantissimi…”
C’è stata anche un’interrogazione parlamentare, per la quale molto si è adoperata Rita Bernardini, ma ancora nessuno ha ritenuto di dover rispondere.
Pensando e confrontando… le vicende di Verdini (e Formigoni e dell’Utri…) e quelle del padre di Domenico e di tanti altri i cui nomi neppure vi direbbero qualcosa… La giustizia, il carcere, i diritti… proprio non sembrano essere uguali per tutti…