A cura di A.M.I.C.A., l’Associazione Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale, è pronto il libro fotografico di Matteo Gozzi, per parlare di Sensibilità Chimica Multipla, grave, insidiosa, malattia dei nostri tempi…
Goccia a goccia. Un avvelenarsi piano e silenzioso. Goccia a goccia. A fare bene attenzione si può imparare a percepirla, l’eco muta di stille di veleno sospese. Come fantasmi meridiani, nell’aria intorno… Sembra dirci questo, il volto di Mariella, nudo di trucco e bellissimo, dietro il foglio di vetro che la separa dal mondo. Il volto di Mariella non poteva introdurre meglio questo libro fotografico su una delle peggiori e più insidiose malattie del nostro tempo: MCS, Sensibilità Chimica Multipla. Una delle peggiori, perché poche cose fanno male come la solitudine alla quale condanna. Perché poche cose possono esasperare come il non essere riconosciuti, per quello che si è, per quello che si ha. E la Sensibilità Chimica Multipla è malattia non riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale, ma soprattutto poco conosciuta e riconosciuta dai medici, e questo significa magari la condanna a peregrinare da un ospedale all’altro, da un consulto all’altro, rischiando, e spesso accade, di essere presi per matti e come matti essere curati. Quanti ne hanno sentito parlare? (…) La mia prima volta è stata quando ho aperto l’e-mail di Anna Maria e ho conosciuto il racconto della sua vita. Il lento avvelenamento quotidiano nei luoghi del lavoro, l’esplodere della malattia, la vita da difendere dagli umori del mondo… ma l’Anna Maria che rimane impressa nella mente è anche donna forte e coraggiosa, che a tutte le porte bussa per avere ascolto, che su tutti i fiumi si sporge per scrutare correnti, cui affidare i suoi messaggi in bottiglia. Perché si sappia, perché la gente capisca. Con la sua voce di donna del Sud, che parlando e spiegando e raccontando, vibra d’emozioni, che si gonfiano e si acquietano, come si sollevano e si abbassano le onde del suo mare, dove ogni giorno, racconta, si affaccia a respirare la vita.
Poi ne sono arrivate altre di e-mail, di voci a bussare per essere ascoltate. Racconti tutti diversi e tutti uguali a quelli che i volti di queste pagine ci restituiscono. Anna Maria, Mariella, Aurelio, Ewa, Ivo, Elisabeth e gli altri. Ci regalano brevi narrazioni che molto spiegano e chiariscono sui percorsi della malattia. Molto, soprattutto, disegnano dei panorami dell’anima. Pure, per capire, basterebbe una sola frase. Quella di Aurelio che dice: “Rido raramente”.
E poi e prima le immagini. Queste con le quali Matteo Gozzi ha scelto di rappresentare la malattia, sono brividi di solitudine. C’è sempre solo una persona al centro della foto, e mai nessun altro, neppure discosto, neppure da intuire nascosto, appena più in là. Di solitudine parlano labbra senza rossetto, spazi vuoti che sembrano rimbombare nel nulla, stanze come scatole, scatole chiuse. La solitudine è un vestito nuovo da provare per la festa dove mai si andrà… Quando pure il luogo è senza pareti, e si apre su una strada, un campo, un bosco, la solitudine è una sagoma di spalle, un volto chino, una mascherina messa sul viso a opporsi al respiro del mondo. E poi i colori. Sembrano a volte essere lì lì per virare sul grigio. Grigio, colore della cenere e della tristezza. Colore della nebbia, quella che cala sui sogni quando pronti a sfumare quando l’alba si fa livida.
MCS, Sensibilizzazione Chimica Multipla, dunque. Che si sviluppa in seguito all’esposizione a sostanze tossiche, che a loro volta producono sensibilizzazione ad altre sostanze chimiche. Una delle malattie più insidiose perché malattia del nostro tempo che non vogliamo vedere. Perché del nostro tempo in corsa troppe cose non vogliamo sapere. Questo nostro tempo che ci regala dosi sempre più massicce di inquinamento ambientale. Molto hanno da dire a questo proposito i ricercatori, i medici dell’ISDE, l’International Society of Doctors for Environment, che studiano le modifiche del nostro programma genetico. Già da qualche tempo si comincia a parlare di fattori ambientali che arrivano a portare modificazioni del nostro DNA, oggi si comincia a pensare che anche il cancro può essere visto come il prodotto finale di un lungo percorso di condizionamento e trasformazione della segnaletica intercellulare. E questo, si sottolinea, non riguarda solo le cellule adulte.
C’è una frase che il professor Ernesto Burgio, presidente dell’ISDE Scientific Committee, ama ripetere, citando Renzo Tomatis: “Le generazioni future non ce lo perdoneranno”. Ed è monito che, da solo, davvero, fa paura. Chiama in campo i responsabili delle politiche ambientali, chiama in campo anche ciascuno di noi, che se non toccati da vicino, siamo così poco attenti alla qualità dell’ambiente nel quale viviamo. E tutti, giorno dopo giorno, portiamo una goccia al mare di quel veleno.
Curare non è mai semplice. Curare l’MCS è impossibile. La strada indicata dal professor Tomatis e dai medici che hanno accolto il suo insegnamento per evitare che l’ambiente che ci circonda diventi per tutti noi una trappola, è la prevenzione, e che di prevenzione primaria si tratti. Come dire, insomma, ripensare il sistema di vita che ci circonda. Che al punto in cui siamo arrivati, noi cittadini di queste nostre città asfittiche che pure tanto amiamo e che continuiamo ad affollare e a inquinare, sembra impresa impossibile. Ma, a pensarci bene, il pensiero dell’uomo, da quando è comparso sulla terra, mai ha accettato limiti, mai si è detto, nel bene e nel male, questo è impossibile…
Forse sto rischiando di avventurarmi in campi che non mi competono, e lascio, su questo, la parola a chi ha l’autorità scientifica per farlo. Ma ripensando a quanto letto e ascoltato sulla MCS mi è tornato alla mente “La nube purpurea”, straordinario romanzo dello scrittore di origine irlandese Matthew Shiel. Shiel racconta la terra dopo il passaggio di una grande nube, che ha steso sul mondo un velo purpureo, dal sottile profumo di fiori di pesco e di mandorle amare. Narrazioni di percorsi apocalittici. Scenari da secolo ultimo. Ma anche grandi, o piccole catastrofi, che uccidendo il vecchio, aprono il terreno a nuove fertilità. Perché l’umanità sterminata dalla nube purpurea rinascerà. Rinascerà dall’incontro dell’io narratore con una donna (loro due unici sopravvissuti alla catastrofe), con la quale il protagonista deciderà di generare ancora, nonostante i tanti dubbi che ha sull’umanità.
I romanzi, si sa, sanno spesso raccontare, e prevedere a volte, la vita del mondo meglio di qualsiasi cronaca. Noi ci auguriamo che il mondo rinasca a un migliore ordine, senza però aspettare di dover passare per gli scenari apocalittici di Shiel. Magari cominciando già subito, col fermarci su queste immagini e le loro narrazioni, perché è cosa che riguarda tutti noi. Ascoltando, ad esempio, le parole di Vito che dice: “Se qualcosa a me fa male, non è che non faccia male agli altri. La differenza è che il mio corpo me lo dice”.
L’invito è a guardare questi visi, guardare questi corpi, e leggervi tutto quello che i nostri corpi non dicono.