Luca Flores, vent’anni dopo… I fantasmi… a volte ritornano… e questa notte è ritornato nei miei sogni il fantasma di Luca Flores. Dopo che dal Festival di Jazz di Massarosa, alle porte di Lucca, arriva una telefonata per ricordarmi l’anniversario della sua morte, vent’anni fa, e che il 26 del mese gli verrà dedicata una serata. Splendido pianista, Flores. Straordinario talento del jazz. Poetico, funambolico. Di origini siciliane, l’infanzia in Mozambico, trapiantato in Toscana. Che morì suicida in un giorno di primavera, che ancora non aveva quarant’anni. Soffriva di sindrome bipolare. Una vita piena di fantasmi, la sua. A cominciare da quello della madre, morta in un incidente d’auto, mentre viaggiava con lui, quand’era piccolino… tragedia che sempre s’è portato nel cuore… Permettetemi di condividere un ricordo che ritorna per me oggi, violento, dal passato. Una storia quasi rimossa, perché tanto è stato lo strazio nel ripercorrerla. Giusto dieci anni fa, quando Michelle, Michelle Bobko, che è cantante e con Luca Flores ha vissuto negli ultimi anni della sua vita, mi aveva affidato un pacco pieno di ricordi: lettere, foto, disegni, pensieri, versi appuntati su brandelli di carta di giornale… Michelle, che con lui ha condiviso amore e musica, gioia e dolore.
Si scherzava, spesso, con lei, di sogni premonitori e di fantasmi, ma mai prima di allora aveva parlato di quel suo tragico amore. Io, certo, sapevo. Lei sapeva che io sapevo… Ma solo quel giorno d’un tratto mi dice: “questa storia è piena di fantasmi, tu che con loro sembri avere dimestichezza, prova a raccontala per me…”. E così è andata, (…)vivendo per mesi in quella scatola di ricordi, e poi leggendo i libri di lui, andando a toccare la tastiera del suo piano, sfiorando i colori dei suoi disegni, ascoltando i ricordi di lei, perdendosi nella sua musica. Iniziando dalla canzone di Tenco, che spesso Luca Flores suonava, “Angela, angela, angelo mio, io non sapevo…”, che è poi diventato il titolo del libro che è stato (sottotitolo “Romanzo con Pianoforte Jazz” ed. Stampa Alternativa). Per raccontarla, quella storia, non c’è stata altra strada che immedesimarsi in lei e innamorarsi di lui e dei suoi immensi occhi scuri…
Come lo ricordo dunque? Come l’ho visto ( io-Michelle) la prima sera che l’ho incontrato. Suonava in un locale di Firenze. Qualcuno mi disse, fa attenzione a quel pianista, ti piacerà…
‘… Ma io già non avevo occhi e orecchi che per lui. Aveva un modo molto particolare di scavare dentro la musica, dentro ogni nota. Andava giù, giù, ancora giù. Come tentato dall’esplorare chissà quali profondità. Fermandosi sul limite di non so cosa, per poi risalire, in vortici leggeri, soffermarsi in superficie, giocare con l’aria, indugiare accarezzando il piano della tastiera per poi ancora ridiscendere. Come inseguendo e componendo movimenti di linee a lui solo visibili. Era sempre curvo sulla tastiera. Non ne potevo vedere bene il volto. Solo un tratto di profilo inclinato, la linea assorta dello zigomo, la barba leggera. La testa affollata di capelli e le spalle. Larghe e fragili di sussulti. Le braccia forti e le mani, le mani e le dita che erano tasti ed erano musica. Poi finalmente sollevò la testa, si volse appena, e vidi gli occhi. Grandi e scuri. Nella penombra mi sembrarono immensi. Erano immensi. Lucidi di gioia. Eccitata. Guardarono intorno, immaginai che mi guardassero. Quasi subito si riabbassarono e furono di nuovo solo della musica… “So già come andrà a finire fra di voi” disse l’amico che mi accompagnava. “Pazienza”.
Così è poi nata la storia d’amore, che nel racconto è anche la storia d’amore di Luca per la sua musica, che alla fine si è fatta tragedia.
Terribile malattia la sindrome bipolare. Si è sbalzati dall’euforia alla depressione più profonda. E’ come un’altalena. Che ti strazia la mente e l’anima. Vieni spinto verso l’alto, e quando ti sembra di toccare il cielo all’improvviso sei schiacciato verso il basso. E quando pensi di essere vicino a toccare con i piedi la terra, una forza invisibile ancora ti lancia lontano… Una malattia che ti chiude in luoghi bui affollati di fantasmi dai quali non sai difenderti…
Non è facile capire, neanche per chi sta vicino. ‘Forse capivo il suo sottoporsi allora troppo distratto alle cure che gli venivano proposte. Per contrastare la tristezza che diventa sofferenza e disperazione. Per calmare l’esaltazione che consuma le forze. Neanche ora saprei dire quanto la calma indotta e il tenerlo isolato dalla sua musica, come accadeva, non gli provocasse nuove tristezze. Aggiungendo dolore a dolore… L’alchimia dei farmaci regola gli umori, rimuove pensieri, stabilizza le emozioni. Aiuta, certo. Ma pensare di rimuovere con una combinazione chimica il dolore del mondo…
Anche tutto questo, naturalmente, è nella sua musica, che vi invito a cercare e ascoltare. A cominciare dal suo ultimo disco: “For those I never knew”, una premonizione, quasi… Nelle pagine dei siti di chi coltiva il ricordo della sua musica potrete leggere del suo percorso musicale, delle emozioni che cercava e sapeva dare… fra l’altro si legò a due eccezionali fiatisti come Massimo Urbani e Chet Baker. Io, che poco so di musica, ho voluto leggere traccia del segreto della sua arte in queste parole per Michelle: “Mia carissima, l’amore che tu cerchi è dentro di te. Scava nel profondo della tua anima e non chiudere mai gli occhi a quello che vedi e senti. La felicità e la libertà devono essere conquistate, non cercate fuggendo la tua tristezza o il tuo inferno, ma cercando anche dentro queste due cose”.
Porterò il 26 del mese, al festival di Massarosa, dunque, il mio pensiero per Luca Flores. Che ho amato molto, per i suoi occhi scuri, la sua musica, il suo amore, sapevate?, per i gatti… che pure, in una sola nota, sanno fondere il cielo e l’inferno…