“Diciamo che lo vedo la prima volta alla stazione ferroviaria. E’ mattina io arrivo sempre di corsa… sono di fretta quindi lo noto… spicca tra le persone, le facce che mi vengono incontro… non per gli abiti o qualcosa in particolare, ma lo noto e ci penso… ci sto ancora pensando mentre aspetto di scendere dal mio treno… alla sera poi mi sembra di rivederlo, grosso modo sempre allo stesso posto, mi sembra, ma ne sono quasi sicuro… io non voglio dare troppa importanza, ma mi sembra che abbia una divisa… no, non è un militare, è un fantasma…”
La strage della stazione di Bologna, l’estate di quarant’anni fa, il 2 agosto, l’esplosione che alle 10,25 nella sala d’aspetto della seconda classe uccide 85 persone, ne ferisce oltre 200… La vogliamo ricordare con le parole del protagonista del monologo scritto da Marcello Fois, La stazione, che racconta l’apparizione di questo fantasma che un uomo vede accanto ai binari… lui solo, lo vede, fra la folla indifferente, come un incubo al quale è impossibile sfuggire…
Con questa figura diafana, quasi di fumo, eppure così presente che rimane come un pensiero molesto, Marcello Fois ha dato voce agli incubi di un uomo che nella strage del 2 agosto del 1980 ha perso moglie, figlia… tutto insomma…
“Protagonista – ci ha spiegato Fois, che da anni vive a Bologna, (ha spiegato a me e Daniela Morandini nel corso della trasmissione radiofonica che in un altro 2 agosto abbiamo dedicato al pensiero di quella strage) – è semplicemente una di quelle persone che hanno, sì, la maledizione della memoria. La memoria è un atto di civiltà ma può essere intimamente una maledizione, e questa è la storia di un uomo che vorrebbe fingere di dimenticare ma sa che non riuscirà a farlo, convive con la perdita dei suoi cari, un incubo … Quale padre vorrebbe sopravvivere ai suoi figli…”
La memoria è dolore insostenibile a volte, è una maledizione per il protagonista di questo racconto… ma c’è un dovere collettivo della memoria, che si assolve anche raccontando. E, come non condividere il pensiero di Fois, che nel dubbio sceglie la memoria, anche quando fa male, perché è “un antidoto, una difesa, un modo per considerare l’oggi alla luce di quello che è successo, ed essere pronti al futuro. Certo si continueranno a fare errori, ma l’atteggiamento dell’animo è quello che conta. Questa è una memoria che continua a far male, come la Shoah, le foibe, i campi di concentramento, i gulag … ma ci sono questioni che proprio per genetica sono cose che non vanno dimenticate… deve essere un imperativo, perché le società dentro questa memoria sono in qualche modo migliori. E’ l’anima profonda che salva. Chi dimentica fa un errore, da qualunque parte dimentichi…”
Le sentenze giudiziarie hanno indicato gli esecutori materiali di quella strage, e tanti i passi avanti fatti, verso la verità sui mandanti… ma quanti ostacoli in quarant’anni di false dichiarazioni e depistaggi… Rimane, costante e indistruttibile, la verità del dolore, che spinge i familiari di quella strage e tanti intorno a loro, ogni anno, da quarant’anni, ad essere lì, a ricordare nel silenzio. “La piazza diventa un silenzio assoluto” testimonia Marinella Manicardi, attrice bolognese che il monologo di Fois ha portato nel 2000 per la prima volta in piazza Maggiore, a Bologna, con tutto il carico di un’emozione fortissima, che il teatro riesce a ricreare. E ancora, oggi, sarà lì.
“… da solo, al centro della scena rimane quell’uomo… che da quando è rimasto solo non ha mai pensato nemmeno per una volta a ciò che ha distrutto la sua vita, a quelle lamiere roventi, all’uscita numero uno dove erano stati sistemati tutti quei corpi, a quel telegiornale dove annunciavano che era saltata in aria la stazione… Quell’uomo era rimasto quasi tranquillo… persino quando ha riconosciuto la moglie dalla collana o quando ha intravisto tra le cose ammucchiate dai soccorritori la bambola della sua bambina… Quelle cose le aveva rimosse quasi subito”.
I fantasmi sono leggeri, un soffio e si può provare a mandarli via, come fumo. Ma a ricordare la tremenda esplosione dell’episodio più sanguinoso degli anni della strategia della tensione, nella ricostruzione dell’ala della stazione distrutta, è stato lasciato uno squarcio nella muratura, una crepa coperta da un vetro, pesante come la pietra. E quell’uomo, che nella strage di Bologna ha perso tutto, lui quella crepa nel muro proprio non la sopporta… Non la vuole guardare, perché poi viene fuori il dolore. Se la prende allora con l’architetto che ha ricostruito la stazione lasciando quella traccia, quella ferita, perché, dice, tanto fra un po’ ci porteranno gli alunni delle scuole in gita, come si va a vedere il Colosseo, le catacombe riportate alla luce per turisti di passaggio…
“Anzi ce le portano già le scuole, i bambini, fra un diretto e un espresso a vedere quella ferita e fra un po’ diventerà come quelle patologie troppo esibite alle quali si finisce per abituarsi. Beh, io non mi voglio abituare…”
La memoria è un atto di grande delicatezza. Bisogna stare attenti a non rimanere sulla superficie, ma bisogna scendere nell’intimità di quella memoria: “Una scelta così vistosa- è ancora il pensiero di Fois- poteva diventare sbagliata, ma questo non avviene perché non è diventato uno spazio architettonico, è rimasto una spazio della memoria”.
E rimane ancora l’orologio. Quell’orologio fermo alle 10,25.
Andando, capiterà, alla stazione di Bologna, bisognerebbe fermarsi un attimo… dimenticare la folla e i rumori intorno e, vedrete, quel fantasma apparirà anche a noi. Perché la violenza di tanto dolore non si dissolve nell’aria, neppure con il passare del tempo. Proveremo forse a capire perché lui “quelle cose le aveva rimosse quasi subito”…
“Ha semplicemente pensato che non avrebbe più dovuto aiutare la moglie… ricordarsi la data di vaccinazione dei suoi figli… andare ad aspettarla dal parrucchiere… avrebbe potuto cenare come pareva a lui, con una mela… non andare a lavorare, restare a casa al chiuso… Avrebbe anche potuto iniziare a piangere… forse avrebbe anche iniziato a urlare… a invocare, a guardare i suoi incubi inchiodati sul muro…”