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    Le storie della Storia

    Ieri, Gatto randagio, ha tirato fuori un appunto molto, molto personale…… Ricordando quando, esattamente un anno fa,  l’altro 25 aprile, mi sono svegliata con l’inderogabilità di una cosa da fare. Andare alle Fosse Ardeatine. Che poi si trovano a cinque minuti di autobus, nemmeno mezz’oretta, volendo, a piedi, da casa mia…

    Eppure in tutti questi decenni che abito a Roma, mai avevo osato. Perché la Storia è  Storia. Ma quando realizzi che in qualche pagina di quella Storia ci sono tracce del tuo sangue… bèh, allora è un’altra cosa, e far combaciare le due storie, quella pubblica e quella privata, è cosa che sempre un po’ sconvolge. Insomma, come appartenessero a due orizzonti diversi, ho sempre fatto una gran fatica a sovrapporre alle pagine dei libri, alle cronache delle celebrazioni con tanto di corone d’alloro e suoni di tromba e canti, la sommessa narrazione ascoltata in casa, fatta di cenni, commossi e gravi, al ricordo, ancora oggi pieno di tremore, di quei giorni già a lutto al pensiero di quel cugino del nonno prigioniero, e che poi morì fucilato in quel luogo tremendo e buio… Permettete, dunque, la nota personale… Ugo de Carolis, dunque, che era maresciallo dei carabinieri, e dopo l’8 settembre del 1943 venne a Roma, entrò in contatto con il Fronte Militare Clandestino, passò nella clandestinità e fu attivissimo nella resistenza romana. Su di lui pendeva una taglia di cinquantamila lire. Qualcuno lo tradì. Venne catturato dalla Gestapo. Finì prigioniero in via Tasso, prima di essere ucciso nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, appunto.

    E quella visita tanto rimandata alla fine l’ho fatta. (…) Lui l’ho trovato quasi subito. In seconda fila. In quel luogo di rara suggestione. Dove non c’è spazio per parole di retorica. Un percorso tra grotte ferite di luce, che porta al locale buio, sormontato come da un’enorme lapide, che copre le pietre di ciascuno, tutte in ordine, come pronte a rispondere ancora all’appello di cui mai s’è esaurita l’eco. E ritrovare nella foto di lui, diversa da quell’unica che conoscevo, i tratti di noi… Bisogna stare attenti a non piombare nella vertigine che prende, in tutto quel silenzio. Rimane, uscendo alla luce del giardino, sereno di luce e cura, un sottile dolore… diverso dall’angoscia che mi aveva preso quando ero salita nell’appartamento di via Tasso, anche lì solo un pugno d’anni fa.

    Sì, sono stata molto molto vile. In uno dei tempi dell’abitare inquieto, ho pure avuto casa alle spalle di quel palazzo, ma ho aspettato di allontanarmene prima di entrarvi.

    Via Tasso, dunque, l’appartamento dell’edificio, a un passo dalla basilica di San Giovanni, che nei mesi dell’occupazione nazista di Roma venne utilizzato come carcere del Comando della Polizia di Sicurezza. Potere dei luoghi… sempre più forte di quante parole si riesca a mettere insieme.

    Negli appartamenti di via Tasso, trasformati in luoghi di detenzione e tortura, il dolore e lo strazio di quei giorni è ancora tutto lì, e ti salta addosso. Impossibile non sentirne le voci. Non c’è neanche bisogno di chiudere gli occhi. Basta lasciare che lo sguardo scivoli intorno. Sulle finestre murate, a chiudere al mondo. Sui pochi ritagli di stoffa, di quel che resta di abiti macchiati di sangue. Sulle scritte graffiate sull’intonaco di una cella. E tutto è ancora più atroce, se i disegni fiorati sulle pareti, la cappa di una cucina, un lavello di marmo grigio, di quelli che c’erano una volta, ricordano il tempo “normale” della vita che pure lì era stata. Quasi a ricordarci ancora una volta la banalità del male. Che arriva a insediarsi nei luoghi della vita che pensiamo tranquilla. Accomodato in un salotto, seduto al tavolo della cucina di casa. Ed è la cosa che forse fa più orrore.

    E poi leggere le scarne parole della burocrazia che ha dettato gli ordini di servizio, messi ora tutti lì in fila intorno alle pareti. Poche parole, pochi numeri, su foglietti ingialliti. L’ora di inizio degli interrogatori, l’ora della fine degli interrogatori. L’ora dei trasferimenti, delle consegne. Gli ordini di esecuzione.

    E poi le foto. Degli uomini che lì sono stati rinchiusi, e torturati. Anche lì, la foto del prozio Ugo, che aveva appena compiuto 45 anni, così bello e fiero, ho pensato anche allora…

    “Giustiziati”, recita per lui e per altri un rapporto. Come ci fosse qualcosa di giusto e di pulito ( e l’offesa alla parola giustizia, che ancora così spesso facciamo usando il termine giustiziato, è cosa che non ho mai capito).

    E poi le testimonianze. I pochi oggetti… Un museo scarno, quello di via Tasso, che nessun restauro ha ritoccato, e forse per questo luogo di memoria ancora più potente. Per non dimenticare i tanti a cui molto dobbiamo…

    Ugo De Carolis. Permettete, ne ricordo ancora il nome… Non ricordo più chi disse che le persone muoiono due volte. La seconda, quella definitiva, quando nessuno ne pronuncia più il nome. Per questo, dopo quella prima visita, un anno fa, mi sono riproposta di tornarvi, alle Fosse Ardeatine, magari portarvi in nipoti, e pronunciare insieme nomi… 

     

     

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