Il tocco meccanico della fermata dell’ascensore al piano. Il cigolare sulla ruggine del cancello. Tre passi verso la porta. Un fruscio come di foglia secca. Ancora tre passi, il colpo dell’ascensore richiuso e il vortice d’aria risucchiata lungo la tromba delle scale. 4.3.2.1…tac! Otto gradini soffocati e un altro, ora lontanissimo, sbattere di porte. La portiera era rientrata nei suoi confini, seppellita nell’interrato. Solo allora Andrea si alzò dalla scrivania. Si avvicinò alla porta, l’aprì e con cautela si affacciò sul pianerottolo. Controllò che la porta di fronte fosse chiusa, che nessun suono sospetto salisse dalle scale, le scese di corsa e sbirciò finalmente nella cassetta della posta.
Dalla fessura del legno sporgeva un triangolo bianco. Il cuore gli assestò alcuni colpi in gola mentre avvertiva un forte tremito impossessrsi della mano destra. Riuscì comunque a tenderla e afferrare veloce la lettera con gesto di ladro. Anche se sulla cassetta era inciso il suo nome. Anche se non aveva alcun dubbio di essere il legittimo destinatario delle lettere che la portiera regolarmente vi imbucava.
Risalì. Come un ladro richiuse dietro di sé la porta cercando di non fare rumore. Attraversò di corsa il corridoio, la stanza. Si sedette alla scrivania. Due gocce di sudore freddo gli stavano colando ai lati della fronte mentre, socchiusi gli occhi, palpava con tutta la cautela di cui era capace i confini della busta. Carta patinata, extrastrong. Nessuna irregolarità al tatto. Ne considerò la consistenza. Doveva contenere almeno tre fogli. Ne fu spaventato. Avvicinò la busta al volto e ne aspirò gli umori, ancora rivoltandola fra le dita: colla bianca, inchiostro di china ed essenza di tabacco amaro. Già sentiva la testa annebbiarsi. Con uno sforzo di volontà sollevò le palpebre. Per incontrare la grafia di Jasmine. (1- continua)