Domenica scorsa nel centro rifugiati di Casale san Nicola, Roma Nord, c’è stata una festa. Una bella festa, che, a fare un po’ d’attenzione, racconta la storia del mondo. Daniela Morandini c’è stata e così ce l’ha raccontata…
“Oggi è festa a Casale San Nicola, dove la borgata ritorna campagna, e diventa zona residenziale. Qui la cooperativa Isolaverde, vinto l’appalto, ha trasformato la Socrate, una scuola abbandonata, in un centro per rifugiati. Appena iniziati i lavori, proprio lì di fronte, alcuni cittadini romani, senza casa, avevano occupato un campo, alzato una tendopoli e sventolato la bandiera tricolore.
“Tocca prima a noi” dicevano.
“No agli immigrati” si leggeva sugli striscioni di un presidio di residenti, davanti al circolo del tennis.
In luglio,un blocco stradale aveva fermato il primo pullman di ragazzi africani. Era arrivato anche un manipolo di Casapound: facce nascoste dai caschi, manganelli , (…) saluti fascisti, sassi lanciati , cassonetti bruciati e cariche della polizia. Quattordici agenti rimanevano feriti, due manifestanti finivano in carcere.
“Abbiamo tutti lo stesso sangue rosso” avevano detto i migranti.
Ora, cinque mesi dopo, una parte dei residenti organizza una festa, e i ragazzi del Centro spalancano le porte di quella che, oggi, è la loro casa. Hanno più o meno vent’anni, vengono dal Gambia, dal Mali, dal Senegal, dalla Nigeria, dalla Somalia. Sono neri,alti,belli, gentili, qualcuno ha persino la giacca. Addosso hanno quasi tutti lo stesso viaggio: deserto, Libia, Mediterraneo, naufragio, Lampedusa.
Sono tragedie che hanno occhi, mani, gambe, cuori: non sono solo qualche riga di giornale, perché qui tante parole espropriate di senso, si riappropriano del significato. Ma a questi ragazzi non serve raccontare ancora, non possono tornare indietro: devono andare avanti, devono. E allora ripartono da qui.
E’ in un bel posto il Centro, in mezzo al verde. E’ pulito, il bucato è steso all’aria, i rifiuti finiscono nei bidoni della differenziata. Fuori ci sono due camionette delle forze dell’ordine, ogni tanto entra un agente per un caffè alla macchinetta.
Anche se è dicembre, é caldo: i ragazzi hanno apparecchiato fuori e aspettano al sole: sembrano assorbire la luce come se fosse ossigeno.
Piano piano arriva la gente del quartiere carica di tegami e di panettoni, di riso e di cous cous, di carne,di pasta e di dolci. Ci sono anche alcuni amministratori locali e tutti gli operatori della cooperativa.
Fanno da padroni di casa due ragazzi del Mali: “Siamo sonninchè – ci spiegano Modi e Dambou – siamo di un’etnia gentile che, per l’ospite, ha sempre acqua e qualcosa da mangiare”.
Pochi di loro sono andati a scuola in Africa: stanno imparando qui a leggere e a scrivere. In pochi mesi riescono a farsi capire, e sono passati dall’analfabetismo alla posta elettronica. Molti frequentano una scuola per stranieri nel centro di Roma, e anche qui c’è una maestra che da una mano. Ma oggi e’ festa:non si parla di studiare, né di documenti , né di commissioni,né di domani.
Bianchi e neri in fila, ordinati, aspettano i loro turno per mangiare. Bastano una cassa e un cellulare per mandare dappertutto le note di Davido, un musicista nigeriano. Canta d’amore,di futuro e di vite difficili.
“ Ricorda la tua storia – dice una canzone- e capisci quello che puoi fare. E quando sei arrabbiato e non sai cosa fare, ascolta: il dolore passa, un pò”.
Moustapha,un giovanotto del Senegal, due metri di sorriso che sfuma in malinconia, invita la maestra a ballare. Ma quanto è difficile per chi è nato qui, seguire quei gesti che, con garbo, si fondono in armonie.
Abdirashiid,un ragazzo di Mogadiscio, che pare uno di quegli angeli che volano intorno alle madonne bizantine, ci spiega con orgoglio di essere sempre andato a scuola ,nel suo paese. Non è facile dalle sue parti , perche c’e’ la guerra civile da più di vent’anni; ci sono gli uomini di Al shabaab, i terroristi islamici. E lui e’ nato con la guerra e ha visto solo guerra.
Gli ospiti chiacchierano, mangiano, ballano. I padroni di casa fanno le foto col telefonino.
Alieu, un giovanotto del Gambia, più alto di una porta, parla con tutti, se la cava bene con l’inglese, con il francese e con l’italiano, anche se , fino a poco tempo fa, riusciva a stento a fare la sua firma.
Gli amministratori rimarcano l’importanza dell’incontro tra le culture, mentre arriva la torta:”Welcome,bienvenu, benvenuti” c’è scritto con lo zucchero. Una ragazza italiana, con problemi di autismo, scoppia in una risata di felicità e i ragazzi africani applaudono e l’abbracciano.
Per un attimo,si può toccare il racconto di chi aveva fatto quel sogno, di bianchi e di neri, insieme.
Daniela Morandini