Oggi che si chiudono a Rio i giochi delle Paralimpiadi… dove, sapete, partecipano atleti con disabilità fisiche, e avrete saputo e visto delle strepitose gare di Alex Zanardi nella cronometro di ciclismo, di Beatrice Vio nel fioretto. Zanardi che non ha gambe, la Vio priva di tutti gli arti… ed è un vero peccato che l’informazione “main stream”, come si dice, non vi dedichi costantemente la stessa attenzione che riserva alle Olimpiadi dei “normali”… Noi “presunti normali”, mi viene sempre da pensare, da quando di questioni intorno alle disabilità mi sono un po’ occupata. Pensando a tutte le normalmente straordinarie persone che ho incontrato e che mi hanno insegnato a interrogarmi su cos’è un limite, e quanto fisico, e quanto mentale. Tutte mi hanno insegnato a chiedermi sempre dai corpi e dalle menti e dai gesti di chi nascano tanti limiti. Perché, come mi è stato più volte raccontato, “i più grandi ostacoli al vivere non nascono dalla mia disabilità, ma dai muri che la società innalza intorno a me”. E la vita diventa una corsa ad ostacoli quotidiana, che costringe, per vivere, a diventare davvero eccezionali, dei veri campioni…
Dagli appunti di quegli anni, che tutti ancora conservo, salta fuori oggi la lettera di Oxana. Oxana Corso, che scopro essere a Rio. Velocista, argento paralimpico in carica nei 100 e 200 metri T35 (la categoria di disabilità), arrivata giovedì scorso nella gara finale quinta. Un po’ di polemiche a proposito della categoria e delle disparità di forze fra le partecipanti, ma non è di questo che voglio parlare…
Oxana, uso il nome di battesimo perché penso alla ragazza sedicenne con la quale ho parlato cinque anni fa. Oxana, arrivata con la sorellina da piccola da Pietroburgo nella famiglia romana che l’ha adottata, mi raccontò del disturbo che le impediva di muovere bene una gamba, dello sport che da tempo faceva, tanto tanto sport, da raggiungere traguardi davvero impensabili, e non solo nel campo sportivo. Le sue parole…
“Lo scopo principale per cui pratico atletica è far capire agli altri che la disabilità non è sinonimo di diversità, visto che anche se non ce ne rendiamo conto tutti siamo diversi gli uni dagli altri . L’integrazione penso sia uno dei metodi più efficaci per far comprendere che siamo ragazzi come tutti, che fanno ciò che gli piace e che in fin dei conti c’è qualcosa che ci unisce tutti. L’amore per lo sport o qualsiasi altra passione… Non tutti sono in grado di comprendere ciò che proviamo quando magari le persone ci deridono o ci guardano impietosite come se venissimo da un altro pianeta. La sensazione che si prova è indescrivibile”.
Oxanna, allora ha 16 anni e un tanto bel visino… ma ogni tanto guardandosi nello specchio si chiede “perché io?”. E allo stesso tempo si accorge che ci sono persone che si trovano in condizioni più gravi della sua e “anche se può sembrare strano, credo che c’è anche qualcosa di positivo in questa specie di disagio emotivo che si crea con quegli sguardi increduli che tradiscono la “non sapienza”.
“Non sapienza” … poteva sembrare una sorta di sgrammaticatura concettuale… e invece non trovo definizione più appropriata. Nel senso proprio di vuoto di capacità spirituali, di profondità intellettuale, che allontanano conoscenza e sapere vero.
Ancora Oxana: “Credo che nessuno possa capire finché non si trova a provare tutto ciò… e anche se ogni volta mi ripeto che non vorrei essere così, mi sono accorta che questo ha delineato una parte del mio carattere, ha rafforzato la mia sensibilità. Qualcuno in certe condizioni è menefreghista. Io credo di non esserlo visto che mi metto sempre nei panni altrui”
Cinque anni fa le paralimpiadi di Londra erano per lei quasi un miraggio, irraggiungibili… “ma la mia caparbietà mi sta facendo avvicinare a quel sogno”. E infatti poi è arrivata Londra, oggi Rio.
“Non sempre si raggiunge ciò che si vuole, ma io posso assicurarvi che credere in se stessi, avere un sogno, rende più facile il raggiungimento della meta… Voglio infine consigliarvi di non sentirvi mai diversi. Alla fine siamo diversi da chi? In realtà da nessuno di reale, solo dall’idea che ci facciamo di ciò che vorremmo essere, ed è solo colpa nostra se ci lasciamo soggiogare dall’idea di ‘perfezione’ che ognuno di noi richiede a se stesso”
E se a Rio oggi c’è stata un po’ di delusione, penso che nulla avrebbe pareggiato la gioia delle prime vittorie di Londra. Il chiasso festoso della sera del suo rientro a Roma. Alba Arcuri, che è la collega che mi aveva parlato di Oxana, che ben conosce, aveva poi raccontato quella serata di festa, che è stata quasi festa di quartiere. Ne aveva raccolto i suoni, la bellezza spontanea. E fra le voci, ritorna ancora quella commossa dei genitori, orgogliosissimi della bambina che anni prima era venuta per loro da Pietroburgo…
Peccato davvero che la “grande informazione”, a parte “le punte”, non dia più spazio alle storie e alle immagini delle Paralimpiadi. Chissà che una spinta non venga dal fatto che quest’anno, leggo, le vittorie dei paralimpici italiani sono state tantissime, più che degli olimpionici. Vedreste… le corse, il nuoto, i giochi di squadra danno emozioni straordinarie. Avete mai assistito a una partita di basket in carrozzina? Trasmette il piacere di un gioco fluido che scivola via… Vi assicuro ne sareste ogni volta incantati. Come è capitato a me vedendo, della passata edizione, un incontro di scherma dove i partecipanti indossavano un mantello bianco a coprire le gambe, e il loro muoversi sembrava a tratti danza di dervisci…
Ancora non vi ho convinti? Allora date un’occhiata al video inglese di queste ultime Paralimpiadi. Potente, impareggiabile… Vi sembrerà impossibile, ma non ci sono effetti speciali… https://www.youtube.com/watch?v=IocLkk3aYlk