Ve lo voglio confidare. L’anno si è aperto sotto i migliori auspici.
Immagino lo sappiate tutti. Il primo incontro della giornata, la mattina del primo giorno dell’anno nuovo, segnerà tutti i dodici mesi successivi. Sembra porti tanta fortuna incontrare un uomo col cappello, fortuna in amore incontrare una persona di senso opposto… e chi più ne ha più ne metta…
Siccome a tutte queste cose anch’io credo, sono sgattaiolata in strada che appena erano passate le nove, nel deserto che potete immaginare, dopo la notte più insonne dell’anno…
Ma, avevo appena svoltato l’angolo della stradina dietro casa per avviarmi lungo la cancellata che abbraccia il giardino di quel delizioso villino del quale ogni tanto vado a riempirmi gli occhi e l’anima… e ho visto un uomo che guardava amorevole alcuni piccioni, lì a becchettare molliche sul selciato intorno ai suoi piedi. Sembrava avesse con loro una certa confidenza, come contemporaneo san Francesco…
Non è la prima volta che lo vedo da queste parti. Un uomo di una certa età, dall’aria un po’ sbrindellata, con capelli serenamente disordinati, più bianchi che grigi, con una barba piuttosto lunga, piuttosto bianca, lo sguardo buono… Abita, mi avevano detto, in uno dei villini della zona, tutto solo, dopo la morte della madre. Una filosofia tutta sua, una vita complicata, sembra piuttosto dagli altri, qualche momento d’instabilità, ed ecco che magari ti chiamano pure “matto”…
Ma magari il mondo fosse inondato da così dolce follia…
Quando gli sono davanti solleva lo sguardo dai piccioni, mi guarda, mi sorride con dolcezza e mi saluta:
“Buongiorno!”
Buongiorno, gli rispondo.
“Do da mangiare ai piccioni”, ci tiene a spiegare. “Lo faccio sempre. Sono belle creature”.
Gli sorrido. Anch’io do da mangiare agli uccelli.
“Brava!” ne sembra contento.
Però bisogna stare attenti, mi viene da suggerirgli, ché magari le persone che abitano intorno non sono d’accordo, e capita che si arrabbino. Qualche volta bisogna farlo di nascosto.
“Ma lei fa bene. Le persone non capiscono nulla degli animali, degli uccelli, della vita…”
Mi si allarga il cuore. E’ vero, lo penso anch’io, e mi spingo a sussurrargli quasi un segreto: due stradine più in là ci sono almeno due colombe completamente bianche, bellissime! Le ha viste?
Gli si sono illuminati gli occhi e poi ha dichiarato con fierezza: “Io sono vegetariano e animalista!”.
Oh, anch’io, gli ho detto di rimando, una volta tanto non sentendomi in obbligo di spiegarmi o giustificarmi, o addirittura quasi imbarazzarmi, come pure mi capita dopo essere stata una volta apostrofata con il termine “animalista”, come fosse cosa disdicevole farsi scrupolo di ingozzarsi a spese del dolore degli altri. Che è cosa davvero avvilente, dopo i “buonista!” e, addirittura, “animista!”, che mi è capitato di dover incassare come insulti…
Così, lieti entrambi di quella inaspettata comunanza di sentire, per qualche istante abbiamo continuato a scambiarci sorrisi e parole, lui sempre tenendo d’occhio i suoi piccioncini… Sono arrivata a confidargli che sul mio balcone qualche volta arrivano anche due tortore. Due bellissime tortore dal collare. E’ un piacere vederle. Sì, davvero un peccato che non tutti capiscano…
“Le persone – ha ripetuto lui con un cenno di sconforto – non capiscono nulla. Io, per fortuna, non sono credente, ma so quello che dovrebbero sapere loro, i credenti: che i colombi rappresentano lo spirito santo, e bisogna rispettarli, e amarli… nei colombi c’è lo spirito della vita, che dobbiamo accogliere e non scacciare”
Per fortuna non è credente, e il suo pensiero libero è ricco della conoscenza che a volte i credenti non hanno… e quanto grande, quanto vicina a dio, è la sua visione del mondo… Grazie a dio che non è credente.
Meglio atei che cristiani, se cristiani veri non si è… sembra avergli poi fatto eco (mi perdoni per la posposizione) papa Francesco.
Ci siamo scambiati un ultimo sguardo complice e poi ci siamo salutati augurandoci buon anno. Ed è stato l’augurio più bello che abbia mai ricevuto: un augurio sulle ali dei colombi, da sempre messaggeri d’amore, terreno o ultraterreno che sia…
Bellissimo auspicio che non poteva meglio completarsi che con un secondo incontro…
Mentre tutta “leggera” rientravo verso casa, ho sentito sulla mia testa il grido di un gabbiano.
Il grido “del” gabbiano. Pasquale, ve ne ho parlato, il gabbiano che ogni tanto si ferma sul tetto della palazzina che è di fronte a quella in cui abito. Era lui, non ci sono dubbi, anche la mattina del primo gennaio. Venuto a dirmi che anche quest’anno è sopravvissuto alla notte di quella follia umana che sono i botti…
I gabbiani… checché ne dicano le persone che lamentano le loro invasioni (ma dall’autunno scorso ne sono rimasti ben pochi sopra il cielo di san Giovanni) sinceramente trovo le loro grida meno fastidiose del frastuono del traffico. E il saluto di Pasquale, sul silenzio della città ancora intorpidita, ha come moltiplicato la luce…
Sapete? Il Gabbiano, secondo un mito degli indiani Lilloet che lo consideravano simbolo di congiunzione fra la terra e il mare, era proprietario della luce del giorno che conservava gelosamente in una scatola. Per farne, a dire la verità, un uso solo personale. Sarebbe stato poi il Corvo, sempre secondo i Lilloet, a riuscire a rompere la scatola e a regalare agli uomini la luce.
I miti hanno sempre un fondo di verità, e immagino che un po’ di quella luce il Gabbiano l’abbia trattenuta nella sua scatola. Perché era davvero accecante il lucore che si è spiegato nelle ali bianchissime di Pasquale, mentre salutava, volando libero, il nuovo anno… e un po’ di quella sua luce penso l’abbia voluta regalare a tutti noi…