Al cinema, a vedere “Il Paradiso, probabilmente”, film del regista palestinese Elia Suleiman che punta il suo sguardo stupito e muto sulla nostra follia…
Scivolano, a un tratto, i suoi occhi, su quella che a prima vista sembra una scena d’ordinaria vita quotidiana (tutto nel suo film appare di una stravolta e stravolgente ordinarietà): c’è gente che fa la spesa in un supermercato, cammina per strada, la solita accurata fretta… Subito percepisci qualcosa di strano, anche se non capisci immediatamente di cosa si tratti (gli occhi tendono a vedere solo quello che ci si aspetta di vedere). E un istante dopo ti rendi conto che tutti, ma proprio tutti, hanno in spalla un fucile, una carabina, una pistola, come quella ben assicurata fra fondina e bretelle alla spalla di una bambina che scende, con papà e mamma, da un tassì… armi “indossate” con serena disinvoltura, come fossero zainetti o tracolle per signore… per un mondo, immagini, dove il pericolo è incombente…
Surreale, pensi, sorridendone. Eppure, eppure… I poeti leggono e svelano molto meglio di chiunque altro la realtà, e Suleiman (che fino a ieri non conoscevo e ringrazio per questo regalo il mio amico Danilo che mi ha portato al cinema) proprio lo è. Per questo, come i poeti, ha lo sguardo così attonito.
E mi ha riportato alla mente un episodio che qualche giorno prima mi aveva raccontato il Gatto, sì, il Randagio, che mai si stanca di curiosare in giro.
Qualche settimana fa. Si era appena seduto sulla sua poltrona nel vagone di una freccia per il sud, che una piccola pattuglia della polizia ferroviaria ha attraversato il corridoio, come in tranquilla perlustrazione. Due uomini e una donna, con regolamentari pistola e manganello attaccati alla cintura…
Subito gli è scattata una domanda (come non farsela?): qualcosa di serio, se non grave, doveva essere successo su quel treno. Cosa?
Dopo poco ha sentito un annuncio. Che informava i passeggeri (con lo stesso tono ammiccante, ha pensato, di quando si avvisa che sul treno c’è un vagone ristorante pronto ad accoglierti), che a bordo c’erano uomini della polizia ferroviaria, appunto. Ai quali, come al personale del treno, si invitava a rivolgersi in caso di necessità.
E che significa? Si è chiesto il Randagio. Che cosa accade normalmente sui treni per cui c’è necessità di assicurare che sono sempre pronti, a disposizione, uomini di un corpo di polizia?
Nonostante il tono, mi ha confidato il Gatto, l’idea trasmessa dall’annuncio è stata quella del pericolo incombente. Anzi, proprio quel tono un po’ garrulo gli ha insinuato il dubbio che il pericolo sia normalmente in agguato, “motivo per cui ci siamo attrezzati per voi… dunque, non preoccupatevi”.
Ma quell’annuncio, anziché tranquillizzarlo, gli ha piuttosto messo addosso un’ansia, ma un’ansia… Ha cominciato a insospettirsi. “Certo… un treno per il sud… e chissà quanti delinquenti… per non parlare degli spacciatori di elemosine…” e ha cominciato a guardarsi intorno, a scrutare i visi… l’andatura di qualcuno diretto al bagno… ma siamo sicuri che sia andato al bagno per i suoi bisogni e non invece per magari infilarsi una tuta alla Rambo e saltarne fuori armato fino ai denti…
Al ritorno, altra freccia. Stesso passaggio di una piccola pattuglia con pistole e manganelli. Stesso annuncio con la pretesa di tranquillizzare. Ma che neanche questa volta ha rasserenato il Randagio, anzi… Insomma, una sorta di eterogenesi dei fini. Oppure no.
Tornato a casa, il Gatto è andato a frugare informazioni in rete. Ha scoperto che pattuglie e controlli sono più o meno su tutti i treni, non solo su quelli del sud. E abbiamo letto insieme, sulle pagine on line della cronaca milanese del Corriere, i dati del rapporto della Polfer, responsabile della sicurezza sui treni regionali, riferito al 2017 (il più recente a disposizione, si chiarisce). Ebbene, leggendo di commenti e reazioni ad alcuni episodi tutto “farebbe pensare a una situazione di pericolo incombente, a viaggi dove la paura la fa da padrona, i numeri invece raccontano di episodi di violenza in netta flessione”.
Insomma, il solito scarto fra numeri e realtà percepita. Terribile “invenzione”, quella della realtà percepita, che a furia di farcela percepire diventa più reale della realtà vera… (a margine, “ma quando s’è iniziato -mi ha chiesto il Randagio- a parlare di temperature percepite piuttosto che di quelle reali? Da allora non so più neanch’io bene quando cominciare a perdere o rinfoltire un po’ del pelo per il caldo o per il freddo che sia. Quello che ormai sempre mi rimane attaccato addosso è il disagio…”).
E a furia di percepire (delinquenza, minacce, mostri, paure…) accettiamo tranquillamente un sistema di controlli e misure d’eccezione (anche feroci, e spesso a spese di chi non ci piace, o semplicemente la cui vista ci infastidisce) che diventano la regola. In fondo la sicurezza dello stato si fonda, come diceva Sciascia, sull’insicurezza dei cittadini… (ne abbiamo per altri versi parlato: https://www.remocontro.it/2016/06/19/la-sicurezza-madre-del-pericolo-nonna-della-distruzione/ )
“Magari presto saremo tutti in giro con le armi a tracolla, come nel film di Suleiman…” ha sospirato il Gatto.
Ma è tempo d’Avvento e di presepi, siamo buoni…
“Va beh,… ma per sicurezza, visto che mi è venuto il dubbio che in ogni pastore possa nascondersi un Erode, in ogni pecorella una belva feroce…- ha concluso- quasi quasi metto a guardia della capanna la statuina di un uomo in divisa (ce ne sono, davvero, di belline, se proprio non volete quella dell’ex ministro degli interni in felpa blu), a garantire la tranquillità in terra. E che gli angeli pensino alla pace nei cieli…”. (Naturalmente gliel’ho impedito, ed ora è lì che mi guarda in cagnesco).