Daniela Morandini ci accompagna nella lettura di “Francesco Rosi, DIARI, da Salvatore Giuliano a Carmen: il cinema della ragione (1961-1984)” libro curato da Maria Procino, le edizioni de La nave di Teseo. Un viaggio nel cinema che “ha saputo coniugare la Storia con la microstoria”… per non dimenticare le speranze che il passato ci ha affidato…
Salerno. “Cosa fa il regista quando non sta girando un film? ” si chiede Giuseppe Tornatore alla presentazione di questo libro nel salone degli affreschi del complesso San Michele. “ Osserva – spiega- studia, respira, scrive, annota, elabora, riprende con il pensiero. La maggior parte dei film non è sullo schermo, ma nella mente degli autori”.
A cento anni dalla nascita di Francesco Rosi, la sua poetica si ricompone nel lavoro di Maria Procino, storica degli archivi dello spettacolo. E’ un’operazione lontana dai riflettori la sua, per ritrovare i fili e ricostruire una tela. Così come aveva fatto con “Vorrei caro Eduardo”, il carteggio tra Eduardo De Filippo e Paolo Grassi negli anni della collaborazione tra il Piccolo di Milano e il San Ferdinando di Napoli. Un rigore che torna nella ricerca tra memorie e denunce, ancora di Eduardo, alla base di “Tavola tavola, chiodo chiodo “, portato in scena da Lino Musella.
“Mio padre annotava tutto – ricorda Carolina Rosi – e sfogliando queste pagine non ho avuto davanti frammenti di scrittura, ma un puzzle curato con molta attenzione. Le agende oggi sono intatte, chiuse da elastici allentati dallo scorrere del tempo”.
E tra lo scorrere del tempo del regista partenopeo inizia anche questa volta l’opera di Maria Procino, cominciata proprio insieme a Rosi trascrivendo i diari sugli ultimi giorni di Che Guevara, una pellicola mai realizzata. In questo volume, la studiosa scava tra progetti, quaderni, appunti, bozzetti, dubbi, indignazione, scalette che coniugano Storia e microstoria per diventare sceneggiatura con Raffaele La Capria, Tonino Guerra, Suso Cecchi d’Amico. La ricerca decifra parole scritte in fretta e, come in un montaggio cinematografico, ricompone una poetica di fonti e di documenti che diventano cinema: “l’ordine può essere più o meno cronologico, ma sempre logico” ammonisce Rosi. E’ una razionalità che sa anche ascoltare i sensi per capire, come per “Salvatore Giuliano”, quanto sia importante spiegare le montagne e i carabinieri. Quanto sia necessario far sentire attraverso l’obiettivo l’odore dei polli, dei maiali e dello scirocco. Quanto si debba, come per “Uomini contro”, trasformare il freddo in immagine. Quanto pesi, per “Tre fratelli ” la violenza del tempo. Tra queste carte Maria Procino rilegge le riflessioni che si tradurranno nella panoramica dall’elicottero sulla Napoli in bianco e nero di “Le mani sulla città”: “Perché la speculazione edilizia cambia il volto e l’anima degli uomini”.
In questi Diari riecco l’ uomo che non dà risposte e il regista che punta la macchina da presa contro il potere, la corruzione, gli intrecci tra mafie e politica: “Il caso Mattei”, “Lucky Luciano”, “Cadaveri eccellenti”, “Cristo si è fermato a Eboli”. Ma non basta, perché “essere artista significa essere dappertutto” scrive Rosi dopo aver girato “Carmen “, dall’opera di Bizet. “L’importante è andare avanti, e che si dica qualcosa che valga la pena di dire” si legge nelle ultime pagine del libro. E sono parole, conclude Tornatore, che per le nuove generazioni valgono più di una lezione di cinema, di metodologia e di stile.
Uscendo dalla Sala degli affreschi, a pochi passi dal Duomo, qualcuno, chissà quando, ha lasciato una scritta su un muro scrostato: “Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze”. Sono parole di Adorno, un monito, forse.
Daniela Morandini