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    Filomela…

    pensando a ieri… l’8 marzo di gatto Randagio… “ 8 marzo. Ci risiamo. A “celebrare” le donne. Con un coro di voci e volti che sono nuovi e sono antichi e pur sembrano, e forse sono, sempre gli stessi. Permettetemi di restare nel coro, a modo mio, e aggiungere un nome che solo da poco ho imparato. Filomela ( sì, con la ‘elle’). In cui mi imbatto sfogliando le pagine di una raccolta di componimenti poetici di Grazia Frisina, che canta vite di donne: “Questa mia bellezza senza legge”. Già il titolo incanta e fa tremare…

    Filomela ci viene incontro da una storia di ieri, storia, terribilmente, anche dell’oggi. Figura della mitologia greca, figlia del re d’Atene Pandione. Fu violentata da Tereo, re di Tracia, che pure ne aveva sposato la sorella, Procne. E perché non parlasse della violenza subita, Tereo le tagliò la lingua…  (…)

    “Perché l’oceano o gli uragani non trangugiarono l’isola prima ancora dello scempio?/ Chi laverà? Chi raschierà via la crosta dalla pelle?/ La vergogna di me. Quest’immondezza che mi seguita / Dov’erano i padri le madri i  fratelli? Quando neppure la morte volle accostarsi / Dov’è adesso Filomela?”… Adesso è “canna muta…”. Rubando i versi della “bellezza senza legge”…

    Storia di ieri, storia di oggi, sempre e ancora. Cercando risposte, aprendo a caso una pagina di un libro che ho sulla scrivania: “Colui o colei che amiamo non è tanto un essere col quale desideriamo trascorrere qualche ora di piacere; è molto di più. (…) Noi abbiamo bisogno del suo calore, delle sue dolci parole, delle sue cantilene, dei suoi sguardi profondi e placidi; ed egli ce li dà non quando occorrono, ma quando a lui piace e non reca fastidio”. Terribili verità. Di Anna Maria Ortese ne “L’infanta sepolta”. Da rileggere. A proposito di domande, e corpi violati…

    Oggi, 8 marzo, mimose e statistiche. Numero più, numero meno, sempre le stesse ( per la cronaca una vittima ogni 3 giorni) e, tanto per fare i soliti numeri, la violenza rimane la prima causa di morte o di invalidità delle donne fra i 14 e i 50 anni. Nella maggioranza dei casi, grazie al compagno. La famiglia, o “la passione”, dalle nostre parti, sembrano uccidere più della mafia. E mi si perdoni, ma continuo a pensare che non è certo chiamando con nomi nuovi reati antichi (“femminicidio”?!) che le cose possono cambiare. Perché leggendo di drammi ‘familiari’ di cui grondano le cronache, quello che mi sembra ancora evidente, è che il nodo rimane sempre lo stesso: l’idea di dominio su cosa in proprio possesso, e in qualche modo propria pertinenza. Che quindi sfregio ( questa cosa) se, non sottomettendosi alla mia “regola”, mi sfugge. Oppure, che disperato uccido ( compagna e figli compresi), se sto per uccidermi anch’io… perché come possono mai vivere senza di me quelli che amo?

    Il furore, che nasca da rabbia o disperazione, acceca. Non c’è tempo di lasciarsi intimorire dal pensiero della condanna, di qualsiasi “colore” si voglia tingere un omicidio. Scusate la predica. Ma è per dire che, come sempre, come tutto, è di questione culturale che si tratta, null’altro.

    Ma torniamo al nostro mito. Filomela non è morta. Né è morta la sua anima. E, come narra  Ovidio nelle Metamorfosi, riuscì a raccontare in un ricamo la violenza subita.

    Ogni filo è brandello di carne in cancrena / Ogni nodo il nome che mi sopraffece…”. Il gesto del ricamo, che come pochi sembra rievocare il tempo muto delle donne, chine a tessere il tempo dell’attesa, qui diventa, come un miracolo, parola… “Per me e ognuna delle sorelle oltraggiate/ come stendardo sventolerò questo arazzo / contro la complice sordità del cosmo”. Bellissima questa immagine di arazzo, di ricamo sventolato come stendardo che ci regala Grazia Frisina. Più forte di qualsiasi grido di battaglia. Rumoroso come solo il silenzio sa essere. Oggi come ieri, richiamo a non tenere chiuso nel cuore il proprio dolore, ma farne vessillo. Per indicare sentieri… E giacché l’ho scoperta, la storia di Filomela, vi racconto anche come continua. Succede che, dopo aver “letto” il ricamo, la sorella Procne per vendetta uccide il figlio avuto a Tereo ( ci risiamo, madri che non avrebbero di meglio che ammazzare i figli  per vendicarsi del tradimento del marito… e anche qui ci sarebbe la questione di una polemica che riguarda Sofocle, autore di un Tereo ambientato in Tracia a rimarcare la distanza tra Atene  e un mondo barbaro. Medea docet… ma sorvoliamo…)

    Immaginate comunque l’ira di Tereo…  A metterci un punto interviene Zeus: Procne è trasformata in usignolo, Filomela in rondine e Tereo in sparviero. Nei vari passaggi del mito c’è anche chi inverte i destini voluti da Zeus per le due sorelle. Procne diventa rondine, Filomela un usignolo…. E forse, pensando all’incanto di un suono che è voce che torna, è il finale che preferisco.

     

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