Piuttosto annoiata, e sconfortata, devo ammetterlo, dai volti della crisi, e degli scenari, e delle “tattiche” e delle parole che tutto sembrano aver invaso … mercoledì scorso, pensate un po’, a un certo punto ho spento televisore e computer e non ne ho voluto sapere più nulla. E cercando respiro nelle favole (è sempre la strada migliore, credetemi, per riorientarsi un po’) mi sono rituffata nelle “Favole Umane”, di Giovanni De Nava. Ma non per caso…
Giovanni De Nava, calabrese, vissuto a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, che fu amico di Turati, Bissolati, Bonomi… giornalista, scrittore, era stato collaboratore dell’Avanti, de L’Asino, spesso in fuga fra l’Italia e la Svizzera, per evitare la furia di Governo e Curia contro cui lanciava, da articoli e libelli, i suoi strali.
“Giovane, pieno di entusiasmo, aveva abbracciato l’ideale del nascente Socialismo con tutto ciò che di rivoluzionario conteneva: il riscatto sociale, l’uguaglianza di fronte alla legge, i diritti dei lavoratori, la tutela e la promozione dei diritti delle donne, la difesa ad oltranza dei più deboli, la redistribuzione delle terre, la critica al comportamento del Clero e alla politica del Vaticano”, così ce ne parla Ludovica De Nava, scrittrice e filologa, che di Giovanni è nipote e ne sta curando la ripubblicazione di tutti i lavori, e non sono pochi.
Bello e passionale… mi si è allargato il cuore. Finalmente un volto alle cui idee appassionarsi, di cui innamorarsi, anche. E forse innamorata già me ne ero un po’, leggendo del suo amore con Grazia Deledda (La quercia e la rosa, sempre raccontato da Ludovica, ne abbiamo parlato https://www.remocontro.it/2015/12/13/gatto-randagio-nobel-deledda-lamore-lettere-damore-esistevano/)
Ma lo sono ancor più oggi, ammirata da tanta passione “alta”, civile e politica, che colpisce diritta nel segno anche con le sue umanissime favole (ripubblicate da Franco Pancalli Ediotre-Locri), che sono apologhi, richiamo a uscir fuori da convenzioni e ipocrisie e a battersi per un mondo più giusto. “Favole” quanto mai attuali.
– Poveri e ricchi? Che cosa sono?
– I ricchi sono quegli uomini che non lavorano, i quali vivono alle spalle di altri uomini che lavorano!
– Come?
– I ricchi sono quelli inutili perché non producono, e i poveri sono quelli utili perché lavorano e quindi producono; ora, la ricchezza prodotta da costoro è goduta da quegli altri… dai ricchi!
-oh, che strane cose avvengono fra gli uomini…
E’ il dialogo tra un vecchio tarlo e un fiore d’arancio.
E ascoltate un brano della storia di Mara:
-Vai stupida, vai… la terra è di chi ne è proprietario, e tu non lo sei!- dice ridendo sguaiato il giudice a Mara andata a chiedere giustizia, dopo essere stata allontanata dalla terra da lei e dal suo uomo custodita e coltivata durante la lunga assenza dei padroni. E Mara:- Proprietario? E cos’è proprietario? Non è dunque la terra di chi la lavora, di chi l’abbevera del suo sudore, di chi la nutre della sua fatica?
Impossibile non pensare alla fierezza e alla volontà di rivendicare i propri diritti che si legge sui volti degli uomini e delle donne del Quarto Stato, la tela con cui, negli stessi anni in cui Giovanni De Nava scriveva le sue favole, Giuseppe Pellizza da Volpedo dipingeva la speranza rivoluzionaria d’inizio secolo (quello che fu).
Mara sbeffeggiata dal giudice avrà la sua rivincita. Con mossa da “brigante”, con due colpi di piccone, in una notte di tempesta, fa cedere un muro e lascia che un torrente in piena distrugga la casa da cui era stata ingiustamente cacciata. E non finisce lì. Dopo anni e anni ancora “il suo spirito è rimasto ad aleggiare nella vecchia pineta d’Aspromonte e da lassù scende e corre di paese in paese, ad incoraggiare la povera gente distruggere la società dei pochi per riedificar quella dei molti”.
Sono sempre le donne, in questi racconti, fa notare Ludovica de Nava, a stravolgere i giochi, a combattere per prime battaglie ideali per cambiare le leggi che governano il nostro vivere.
A cominciare da quella che ci rovinò: una femmina brutta come lo scuro, sola sfuggita, infelice, a fare con il Diavolo il patto che le permetterà di dominare il mondo: “Tu dominerai gli uomini e il diritto del più forte sarà tuo, e ti chiamerai la Legge!”. Così nacque la proprietà della terra e il matrimonio, e da quel giorno la libertà e l’amore abbandonarono gli uomini…
Libertà e amore che altre sapranno rivendicare e riconquistare. Perché vivono tutte contro la morale comune, le donne dell’ardente socialista. Come Beliamorina, figlia di principe che non vuole sposare un uomo del suo rango, ma è innamorata del contadino che fa fruttare le terre di suo padre. Questo l’allontana e le terre vanno in rovina, finché non ascolta la voce di un vecchio che parlava con la voce di Dio: “Iddio creò gli uomini liberi e non schiavi e li creò nell’amore e per l’amore”. Il principe capì, Beliamorina visse per sempre con il suo Roberto, e nacque una figlia che chiamarono Libertà.
Rivoluzionario e libertario questo nonno Giovanni, che non abbandonò mai i suoi principi, che credeva nell’amore libero da pastoie e burocrazie, e pure era credente, di un cristianesimo delle origini, quello del vero messaggio di Cristo.
Quanto mai attuale…
Giusto questa settimana nella sua rubrica su Internazionale Domenico Starnone ricorda pagine, anche loro, di oltre un secolo fa, del teologo Karl Barth. Che davanti allo spettacolo insopportabile del mondo così com’è, parla della necessità di socialismo e cristianesimo, ma non nelle forme in cui è stato realizzato finora. Perché non c’è socialismo né cristianesimo senza la radicalità del messaggio originario.
Socialismo e cristianesimo, dal passato come un ritorno al futuro, per Favole Umane, umanissime…