Perdonate se oggi, festa della mamma, vi intristisco ricordando una terribile vicenda di cronaca di qualche settimana fa, arrivata dalla periferia Sud di Roma. L’omicidio di una donna, accoltellata dal figlio, un ragazzo di 20 anni. Scarne le notizie… i carabinieri hanno fermato il ragazzo… chiuso, introverso, nervoso, leggo delle testimonianze… “da quanto si apprende affetto da problemi psichici”… ora in carcere… alla catena di quel suo terribile gesto…
Una storia che mi sembra difficile accantonare. Senza per almeno un attimo chiedermi cosa sia mai accaduto nella mente di quel figlio. Senza chiedermi, soprattutto oggi, cos’è stato quel cuore di madre, con quali occhi ha guardato quel suo figlio, nel momento tremendo del gesto omicida…
Storia estrema, che mi ha riportato alle pagine di un romanzo, letto qualche anno fa e che mi è rimasto nell’animo: “Esercizi sulla madre”, di Luigi Romolo Carrino. Anche nel romanzo di Carrino accade qualcosa di terribile, e le domande sono tante e tremende… Ma gli scrittori, quelli veri, loro sì che hanno risposte, o comunque sanno aprire per noi strade, per noi che volessimo cercare di capire…
Il suo racconto, di forza straordinaria, riesce a entrare nel legame fra madre e figlio. E stordirci nelle spire di un legame assoluto che nulla, ma proprio nulla che pure di terribile possa accadere fra i due, riesce a spezzare…
Leggere quel racconto, sfogliandone i capitoli, è stato (appuntai allora) come far scivolare i grani di un rosario, sgranando giorni terribili della vita, per una preghiera laica che non cerca consolazione, ma risposta a un indicibile perché…
“Stamattina, 27 febbraio, ho dato nome alle immagini che ha mostrato il dottor Allocca. Dieci figure, e in ognuna ho visto una parte di te. In ognuna c’era una risposta alla mia domanda: perché sei andata via?”.
Perché sei andata via? E’ la domanda di Giuseppe rivolta alla madre che percorre tutte le pagine del libro. Giuseppe, rinchiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario, è un giovane uomo che cerca di trovare una risposta al perché quella sera del 27 febbraio del 1976 la madre è uscita per fare la spesa e non è più tornata, lasciandolo, solo, bambino, sulle scale davanti alla porta di casa… per dieci terribili ore. Nella mente di Giuseppe si compone una sorta di puzzle narrativo. E la ricerca del motivo dell’abbandono corre parallela alla ricerca di gesti che la mente ha cancellato, troppo terribili per essere trattenuti in sé. E cercando e scavando dentro la mente e l’anima, si arriverà allo svelamento del motivo per il quale Giuseppe è rinchiuso in un ospedale psichiatrico. L’indicibile episodio che ha definitivamente incatenato la sua vita.
Esercizi di memoria, dunque, quelli di Giuseppe, a cui si alterna la voce della madre, che in qualche modo fa da contrappunto. Voce di madre, che è intreccio di dolore e di stupore, che pure sembra non voler credere a ciò che è accaduto. Ma la sua voce è soprattutto amore, nonostante tutto. Sì, perché, bene lo spiega Carrino, non c’è nulla di così terribile che possa accadere, non c’è atto così violento che possa compiersi fra madre e figlio, che possa interrompere quel legame profondissimo che fra madre e figlio esiste. Che è legame profondissimo dell’anima, che è pure fatto di carne e sangue, perché dalla carne e dal sangue nasce.
Basta ascoltare queste poche parole, della madre, “…parole difficili solo per dire che mi sei mancato, tantissimo, sebbene la tua assenza sia stato il regalo che mi sono fatta per non dovere spalancare un grido sfatto a ogni finestra della casa…”
Esercizi sulla madre, dunque. Che si articola in dieci capitoli che sono pure dieci figure di madre che si susseguono. Un incastro di piani diversi e imprevedibili, imprendibili, a volte sembra. In un racconto dolorante e feroce. Sferzante e inaspettato. Tormentato. Che ci cala nel buio dell’anima. E che pure lascia tanti dubbi. Ma, dice Carrino, è proprio quello che alla sua scrittura chiede: di lasciare a ciascuno il diritto di costruirsi la propria storia, da quella sua storia partendo. Una lettura non semplice. Ma che, una volta avviata, non si riesce ad abbandonare.
Lettura complessa, ma vale la pena di cadere anche noi nei labirinti della mente che Carrino sembra conoscere, e molto bene. Un sapere, il suo, che deriva da un intreccio di conoscenze letterarie, scientifiche (confessa da sempre una passione per i percorsi della mente) e conoscenze che nascono dalle cose della vita, che di carne e sangue è fatta. Fra l’altro, Carrino è stato volontario, a Roma, nel C.O.E.S., centro che dagli anni Sessanta si occupa di ragazzi con handicap neuropsichici gravi.
Ancora una nota su questi “Esercizi sulla madre” (editore Perdisapop)…
In esergo, è citato Pasolini, da ‘Supplica a mia madre’: “è difficile dire con parole di figlio ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio…”. Difficile, ma Carrino, che quando l’ho sentito a proposito del suo romanzo si è molto schermito dicendo che “solo ho provato”, vi assicuro, davvero c’è riuscito. E persino, ancora m’inquieto io stessa a pensarlo, a tratti vorresti essere quella madre, e vorresti essere quel figlio, per ricordare e ricordarti, in momenti in cui l’insostenibile leggerezza di molte relazioni sembra sopraffarti, che ci sono legami che nulla, proprio nulla può spezzare… e questo li fa terribilmente belli e irrinunciabili.
Un pensiero, a quelle madri (ma anche a quei padri) che la vita ha messo di fronte all’enorme prova di un figlio con problemi psichici, in questo momento troppo spesso lasciati più soli di prima…