Una nota molto personale, pensando al 3 dicembre, giornata internazionale delle persone con disabilità. Che randagiando randagiando, è capitato di occuparmene, di disabilità, nello spazio di una rubrica della radio… una piccola rubrica che, devo dirvi, mi ha fatto affacciare su un mondo vastissimo, e complesso, e che difficilmente avrei immaginato, impossibile da dimenticare… ora per me tutto raccolto in alcune scatole di cartone e tre cassetti dell’armadio-archivio, che a tratti, con piccoli tuffi al cuore, mi capita di riaprire…
E così ho fatto ieri, cercando, fra le tante, una storia da raccontarvi per ‘celebrare’ in qualche modo questa giornata. Scelta difficile, impossibile, che ognuna delle storie incontrate meriterebbe fiumi di parole…
Ma una persona, la voglio ricordare. Che ancora mi risuona nelle orecchie il tono caldo e sorridente della sua voce. Franco Bomprezzi, eccezionale collega, scrittore e poi blogger, che adesso non c’è più. Costretto per una malattia fin da piccolo su sedia a rotelle, per tutta la vita ha lottato contro i pregiudizi. Ne avrete letto in molti, fra le tante cose che ha fatto, nelle pagine dei suoi interventi sul Corriere…
Capace, anche, di grande ironia… “Ho anch’io il vizio di vivere”… E accettando, qualche anno fa, di assumere l’incarico di consulente per le politiche sulle persone con disabilità, nella giunta Pisapia, parlò del mondo e della Milano che sognava. “Io voglio un mondo senza più persone invisibili, senza più persone senza diritti e senza dignità. Voglio contribuire, nel mio piccolo, a costruire una città capace di dare soluzioni semplici a situazioni complesse. Voglio essere un comunicatore, ossia una persona che “mette in comunicazione” mondi e culture che spesso non si parlano, non si ascoltano, non si conoscono”. Il sogno di un “cavaliere a rotelle” come ironicamente si definiva, lui che aveva ossa che un alito di vento avrebbe potuto spezzare…
Quante volte l’ho consultato e accolto i suoi lucidi, appassionati interventi, per cercare di capire, spiegare, raccontare la disabilità, con il rispetto e l’attenzione dovuti a chiunque. Senza ipocrisie e falsi pietismi. E anche con tanta leggerezza…
A Franco non piaceva affatto quel “diversamente abile” che a un tratto è “qualifica” che ha iniziato a imperversare sulle bocche di tutti… “Non sono e non sarò mai diversamente abile”. Già, quanto può bruciare quel “diversamente” che è già come costruire un recinto, come isolare un’infezione. Eppure, spiegava, abbiamo tutti qualcosa di diverso da qualcun altro. Siamo tutti “diversamente” da altri. Chissà perché le persone disabili si fa fatica a chiamarle innanzitutto “persone”. Che poi abbiano anche una qualche disabilità…
Molto ha insegnato, Franco Bomprezzi, a me “abile” e “diversamente giornalista”, sull’uso delle parole, che se usate male possono ferire. Possono uccidere, anche…
Sapete, certo, delle interviste per lo più al telefono che compongono la gran parte delle trasmissioni della radio… a suo tempo, al tempo delle prime radio libere, fu una grande intuizione, quella di raggiungere al volo e con poca spesa, chiunque e dovunque. Oggi, rimane cosa soprattutto dettata dall’affanno contemporaneo, da un po’ di pigrizia e dall’ansia di riempire il flusso di parole che guai se si interrompe… E così per lo più ho fatto anch’io…
Ma Franco è stato una delle prime voci della mia rubrica che ho voluto incontrare. Per guardarlo negli occhi, per stringergli la mano… Ci siamo incontrati intorno alla discussione a proposito di un libro, ed io ero anche un po’ emozionata, ma è stato, grazie a lui, come essergli stata accanto da sempre. Si è trovato anche il tempo di qualche cenno ai progetti della vita, come fra vecchi amici che si ritrovano dopo un pò…
Non so voi, ma tutte queste relazioni virtuali (interessanti e importanti anche così, per carità) che compongono la nostra vita contemporanea, a volte mi danno la vertigine dell’assenza… e a tratti mi viene voglia di mettermi in cammino e andare a trovare le “persone”… darsi magari appuntamento al bar per un caffè o un aperitivo, e ritrovare il tempo dell’incontro, per parlare delle cose della vita, che è anche un po’ un dono di sé, come si dovrebbe fare fra gente a modo…
E per più di una delle persone incontrate sulle frequenze della rubrica ( ah, si chiamava “diversi da chi?”) mi sono un giorno messa in cammino… per tessere bellissimi rapporti che ancora continuano. E devo dire la verità, molte molte di più, praticamente tutte sono le persone che mi sarebbe piaciuto incontrare in carne e ossa, ma non basterebbe il tempo…
Tutte, comunque, mi hanno fatto capire che questo paese è molto, molto migliore della rappresentazione che mediamente ne diamo, che c’è un’Italia lontana dalle parole a circuito chiuso dei salotti, televisivi e no, che meriterebbe più attenzione. Persone che poco chiacchierano e molto fanno, e compongono quella rete che, nonostante tutto, aiuta questo paese a non andare a fondo…