“Dal pianeta degli umani”
Appiattiti nell’istante in cui vengono pronunciati nello schermo a due dimensioni, il tempo e le cose vanno via in fretta. Le notizie dopo un’ora sono già morte.
Eppure, ogni nostra azione, ogni nostro sentire, ogni paesaggio, ogni strada, ogni pietra… hanno dentro di sé la storia che ci ha partoriti, che ha costruito, nel bene e nel male, il nostro presente, anche se noi, quella storia, non la vediamo più. Noi che non riusciamo a vedere neanche presenze vicinissime che appena un soffio prima ci sono passate accanto, pur lasciando tracce, che neppure vogliamo leggere. C’era una volta, e chissà, forse c’è ancora adesso…
Ripesco questo appunto/riflessione sulla fiaba mentre ancora riscorrono e risuonano nella mente le spiazzanti immagini e le potenti sonorità del lungometraggio di Giovanni Cioni, “Dal pianeta degli umani”. Appena visto in un cinema romano, il Troisi, per la cronaca.
“C’era una volta, a quei tempi, ai nostri tempi. È una fiaba, non è mai successo. È una storia vera”…
Ti spiazza fin dall’inizio questo film, che vuole essere una fiaba, della fiaba sceglie in qualche modo il linguaggio, entrando il regista, con la sua voce, a narrare. Ed è voce cui fa da contrappunto un coro di rane, che nella narrazione entrano, perché… “le rane sono invisibili e sono ovunque. Animali di passaggio tra la vita e la morte, fra l’acqua e la terra. Testimoni della storia, raccontano la fiaba del mondo”, spiega Giovanni Cioni.
Qui si testimonia di una storia tutta racchiusa in un breve tratto di terra, vicino Ventimiglia, al confine con la Francia. Confine dove passano i migranti dell’oggi, e dove c’è un sentiero nascosto, “il sentiero della morte” lo chiamano, e potete immaginare… Solo tracce di questi migranti, come fossero già fantasmi. Quei fantasmi che noi vogliamo respinti nel nulla…
Fra la bellezza del mare e l’umore nero di quel sentiero, c’è, in alto sulla costa, una villa, villa Grimaldi, che di un altro “sconfinamento”, si racconta, è stata teatro. Negli anni Venti del ‘900 vi ha abitato e operato un medico russo, di origine ebraica, Voronoff, a quei tempi diventato molto famoso per i suoi studi sul ringiovanimento. Trapiantava sugli uomini testicoli di scimmie. E le urla dei poveri animali si dice arrivassero fino al mare.
E i fantasmi di oggi si intrecciano con i fantasmi di ieri. Come non sentire, seguendo le tracce del sentiero della morte, il crepitare sommesso delle foglie sotto i passi in fuga… e a guardare quel che resta delle gabbie delle scimmie, come non sentirne ancora lo strazio…
L’idea del confine, dunque, che non è solo confine dello spazio o del tempo, ma è anche confine dell’umano. Una riflessione sulla vita e sulla morte, sul sogno di sconfiggerla, questa morte, con tutte le aberrazioni che questo ha comportato e ancora (non lo vediamo?) comporta. Una riflessione sul vero e sul non vero. Se è vero solo quello che vediamo. “C’era una volta, a quei tempi, ai nostri tempi. È una fiaba, non è mai successo. È una storia vera”…
Il racconto delle voci e delle immagini sconfina continuamente dall’oggi all’ieri e dall’ieri all’oggi. Dalla voce di un migrante alla narrazione di un cronista del Ventennio, dal documento “storico” (terribile quello delle scimmie vittime degli esperimenti di Voronoff, sbeffeggiante quello su Mussolini, tenerissimo quello che ci porta sulle spiagge delle vacanze al mare…) a quel che rimane del giardino della villa di Voronoff, dall’azzurro del cielo sulla costa al bianco e nero di vecchi film. E tutto lega il mare, e la voce delle rane, che cantano nelle cisterne dove Cioni le ha incontrate (e registrato il canto), e la voce del regista che a tratti con quella del mare si confonde.
Insomma, una bella “scossa”. Spiazza davvero questo lungometraggio di Giovanni Cioni, decisamente fuori dal comune. Ed è difficile, credo, uscirne indenni.
Ho visto altri suoi lavori. “Non è sogno”, film nato nel laboratorio teatrale Nuvole, del carcere di Capanne, a Perugia, dove tutto gira intorno al conflitto fra la libertà e il destino, ma anche fra la verità e l’apparenza, fra la vita e il sogno… “Dal ritorno”, il ritorno senza fine di Ivano, soldato italiano in Grecia, nel ’43, prigioniero dei Tedeschi, deportato a Mauthausen, dove fu addetto ai forni crematori. Forme e formule, sempre diverse, che tutte indagano l’Uomo.
Ripensando a quest’ultimo lavoro, sentendo ancora battere nella testa i toni, a tratti quasi un canto, della sua voce narrante… la verità è che Giovanni Cioni è un poeta… e come tutti i poeti da quello che vede si lascia emozionare, sconvolgere, rapire, portare, anche nella scrittura cinematografica, dove le emozioni lo portano.
“Dal pianeta degli umani”, che finalmente comincia a circolare, ha vinto il Festival dei popoli del 2021, ed è ora in lizza per il David di Donatello, nella rosa dei dieci selezionati. In gara con registi del calibro di Tornatore e Bellocchio.
Se volete avere anche voi una “scossa”, andate a vederlo. Cioni riesce benissimo a farci sprofondare nella dimensione che le fiabe, da sempre nate da una profondità che nella nostra corsa quotidiana sembriamo dimenticare, sanno da sempre leggere. E arrendetevi a questa sua fiaba.
scritto per ultimavoce.it