“Papi, vedo tutto grigio”, dice mio fratello. Ma non ottiene alcun risultato. Papà deve essere davvero stanco. Di solito ascolta quel che gli dice il suo cocco… Ma oggi non gli dà retta, forse anche lui pensa, che si auno scherzo, una di quelle cose dei bambini piccoli, che quando si mettono in testa una cosa, poi fargli cambiare idea è un’impresa…
Pensieri di Arturo, voce narrante di “Luce dei miei occhi”, libro. edito da Einaudi ragazzi, e scritto da Zita Dazzi, che è giornalista e scrittrice, e questo suo bel racconto ruota tutto intorno alla strana cecità di Giovanni, fratellino di Arturo, una strada malattia, non facile da individuare e sulla quale i medici si interrogheranno… E’ una cecità che va e viene, forse è anche un non voler vedere istintivo del bambino le cose che non vanno in casa… Il rapporto fra i genitori in crisi, i continui litigi percepiti dietro le porte chiuse, i fine settimana con papà, senza la mamma, con una scusa o l’altra rimasta a casa… I primi episodi di cecità temporanea sono brevi, ma poi il buio sembra non voler andar via… ed è così che Giovanni si difende e a suo modo chiede aiuto ai grandi, anche se l’aiuto più utile, quello in qualche modo alla fine anche risolutivo, sarà il fratello Arturo, già adolescente, a darglielo. Nel racconto la prima cosa che balza agli occhi è il diverso comportamento di fronte alla malattia improvvisa di bambini e adulti. La reazione dei genitori è spaventata e disperata, e nonostante le resistenze è un po’così anche per Arturo, che è già adolescente… (…) Giovanni, invece, sembra quasi adattarsi, in attesa di guarire. I bambini… la loro fiducia istintiva del mondo… Tutto questo viene ben raccontato da Zita Dazzi, che nei suoi racconti sempre rivela una conoscenza attenta del mondo dei più giovani. Perché Dazzi, che ha quattro figli e che per il suo lavoro fra l’altro si occupa anche di società e di scuola, da tempo si confronta e ha dimestichezza con questo mondo e spesso, ci svela, trae le sue storie da vicende vere, come lo è anche questa del piccolo Giovanni. Come lui un figlio di amici si è rifugiato in una “temporanea cecità” , per nascondersi ai problemi che aveva incontrato a scuola, e quindi medici, diagnosi, ospedali… A proposito di ospedali, il racconto ne sfiora, anche, l’universo. Nel reparto dei bambini malati… i palloncini colorati disegnati sulle porte, i manifesti con gli animali… ma Arturo, in visita al fratellino, trova tutto molto silenzioso e si domanda “se dipenda dal fatto che c’è gente che sta male o che lì la vita si è fermata…” una piccola osservazione che gela…
In questo racconto, con i problemi della famiglia di Arturo e Giovanni entrano le parole, disoccupazione… flessibilità, cassa integrazione, … insomma, il raccontare di Zita Dazzi è anche un modo per avvicinare i ragazzi ai problemi del nostro tempo, anzi direi della cronaca. Uno strumento davvero utile, anche per le scuole, per gli insegnanti, per parlare ai ragazzi di quello che hanno intorno, e che anzi a volte è già entrato nelle loro case… pensando dunque ai ragazzi ( e quanti ce ne sono nelle scuole?) con genitori che perdono il lavoro, con genitori in crisi magari proprio per questo… Un motivo in più per leggere questo racconto. Che è ambientato nel periodo del Natale… ma la sua attualità non cambia. Intorno alla cecità di Giovanni papà e mamma, che erano sull’orlo di una separazione, si ritrovano, e poi tutto si scioglie intorno all’idea di un dono. Il dono, suggerito da Arturo, di un cucciolo di cane… e Giovanni ritrova la vista… Insomma, come titolava una striscia di Charlie Brown, tanti e tanti anni fa, “la felicità è (anche) un cucciolo caldo” … ed è ancora una volta un ragazzino a ricordarcelo…