Ancora un racconto di Daniela Morandini. Cronaca di un incontro in un Pronto Soccorso. Ché a saper guardarsi intorno c’è sempre qualcosa da imparare…
La voluta barocca della sedia in ferro battuto cadde con precisione sulla punta del mignolo del mio piede sinistro.
Andai al pronto soccorso, anche se quel gonfiore e quel colore viola non rientravano nella mia idea cubista di frattura, cioè un dito rovesciato, l’alluce di traverso, il tallone sopra e la caviglia sotto. Osservai la consueta processione di persone non più infrangibili e di giovanotti non più invulnerabili. Quasi inaspettato, dalla porta che conduceva ai meandri dell’ospedale, un omone gentile, con un camice blu, i capelli corti e un codino in cima alla testa, chiamò il mio numero. Trentatré, cinquantaquattro, otto: come avevo scritto sul braccialino che mi avevano dato in accettazione che adesso, chissà perché, si chiama triage. L’omone mi guardò il piede e con la mano sfiorò proprio dove mi faceva male. E’ viola sotto, precisai. E’ normale, rispose e mi pregò di aspettare. Scrupoloso l’infermiere, pensai. Dopo un po’ mi fecero la radiografia. Qualcosa di rotto? Ma i tecnici non si sbilanciano mai e mi dissero che avrei parlato con l’ortopedico. Il medico mi chiamò poco dopo: era lo stesso omone gentile che mi aveva aperto la porta. Mi rimproverai per aver pensato che fosse un’infermiere, senza togliere nulla agli infermieri. Il dottore mi disse che c’era una frattura composta della falange distale del quinto dito del piede sinistro. Avrei voluto chiedergli dove era nato, ma non lo feci. So quanto questa domanda dia fastidio a chi viene da lontano, e faccia sentire ancora più straniero.
Mentre pensavo a quel suo collega nato in Camerun, insultato perché nero in un pronto soccorso di Lignano, l’ortopedico, con un cerotto, fermò il dito rotto all’altro dito. Si raccomandò di tenere l’arto sollevato, di mettere il ghiaccio ad intermittenza, di usare scarpe con la suola rigida. Quelle che avevo andavano bene.
Bonsoir madame, concluse, ma si corresse subito: buonasera signora.
Aurevoir monsieur, merci e tornai a casa senza tradurre.
Più tardi seppi che il dottore era nato in Burkina Faso, la terra degli uomini giusti, come l’aveva rinominata Thomas Sankara, una specie di Che Guevara subsahariano.
Daniela Morandini