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    C’è qualcosa che non va…

    Idomeni-Campo-18-1000x600Si fa davvero fatica quest’anno, ad accendere le luci del presepe. A pensarlo, anche, un presepe. Con le sue figurine, i pastorelli, gli animaletti, gli spruzzi di neve finta, gli sfondi di stelline, e la capannina con il suo compunto arredo di Maria, Giuseppe, bambino, bue e asinello…

    Si fa davvero fatica. Se, guardandosi intorno, ecco: il presepe è già bello e servito…
    Sotto le tende di fortuna delle famiglie lasciate per strada da guerre vicine e lontane, negli occhi dei bambini schiacciati dai mille Erodi, dalle contemporanee presunte guerre al terrore, dalle guerre di rapina di sempre, dalle guerre nostrane combattute a colpi di mura e di decreti…
    Sarà per questo che quest’anno il presepe in Vaticano è stato scritto sulla sabbia.
    Come le parole d’amore scritte sulla riva del mare, che sappiamo durare il tempo dell’onda che presto se le porta via, per subito nascondere l’antica bugia che pure ci ostiniamo ogni volta a ripetere…
    Allora, quest’anno, facciamo un atto rivoluzionario. Non accendiamo le luci sull’ipocrisia dei nostri presepi.
    Proviamo a seguire la silenziosa protesta di don Paolo Farinella, il prete che a Genova ha annunciato che a Natale la sua chiesa, San Torpete, resterà chiusa. Niente messa per “fallimento del Natale”, complici i cristiani… attori di un Natale “trasformato in sagra paesana di abbuffate tra regali e presepi”, che non c’entra nulla con la memoria della nascita di Cristo, “mentre accanto ‘i poveri cristi’ muoiono di fame e freddo in mare, nei bordelli della Libia, pagati dall’Italia, che fomenta le guerre con l’immondo commercio delle armi, da cui ricava illeciti guadagni”. Il Natale del tanto cibo che “si butta via, mentre sulle stesse strade Gesù, il migrante dei migranti, muore di fame e di freddo”. Insieme a tutti coloro che vogliamo profughi della vita.
    Del racconto dei Vangeli, siamo così bravi a rinnovare il cammino della discesa verso il buio… Anche Maria e Giuseppe vennero respinti da locande e taverne dove cercavano ospitalità, e sono piene di vivande le locande delle nostre rappresentazioni, per il banchetto funebre che seppellisce il tempo che muore, prima della rinascita.
    Ma quale rinascita, oggi…
    “Se Gesù Cristo venisse tra noi oggi, gli uomini non lo crocifiggerebbero. Lo inviterebbero a cena, ascolterebbero quel che avesse da dire, e riderebbero di lui”. Era chiaro già al tempo di Carlyle.
    Ed è difficile liberarsi dalla tristezza, che sembra oggi scritta, come disse un poeta, nelle linee del soffitto.
    Ma è “festa”, bisogna sorridere…
    Così, per curarmi dalla tristezza, ho comprato una campana tibetana. Ha la forma di una ciotola, in lega bronzea. Che appena appena percossa produce una sottile vibrazione. Facendo poi scivolare con una leggera pressione un piccolo bastone a forma cilindrica lungo il suo bordo, disegnando cerchi, ne nasce un suono che ti coglie di sorpresa. Ho pensato fosse davvero composta, la mia campana, della lega che, secondo un’antichissima tradizione, comprende i sette metalli planetari: argento per la Luna, ferro per Marte, mercurio per Mercurio, stagno per Giove, rame per Venere, piombo per Saturno e oro per il Sole… ché il suono sembra all’inizio provenire da chissà quale spazio lontano alle tue spalle, poi si avvicina, si avvicina crescendo, in volume e profondità, fino a catturarti nella potenza di un magico cerchio vibrante. Che culla e cura.
    E tanto più grande è la campana, tanto più ampia la ciotola, tanto più forti sono le vibrazioni. Tanto più profonda la sua voce.
    Voce dell’universo, che può diventare enorme, grave. Un boato, mi è sembrato a un tratto. Come voce di buco nero. Che ha inghiottito nell’onda furiosa e pietosa del suo vortice, la menzogna dei nostri presepi scritti sulla sabbia…

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