Per chiudere febbraio, mese, come si sa, dei gatti e delle streghe, lascio la penna tutta al Gatto, Gatto Randagio. Ad autocelebrarsi, se vuole, visto che si è fra l’altro appena celebrata la festa dei gatti… e a ben ragione…
“Lo sentite? Il mio è un miagolio che arriva dalla notte dei tempi… carico del peso di tutto quello che la storia dell’uomo ci ha buttato addosso in un’estenuante altalena… adorati come divinità o temuti come servi dell’inferno…
Tutte cose per nulla semplici da portare e sopportare. E di cui noi gatti, diciamo la verità, siamo un po’ stufi. Ne abbiamo discusso giusto domenica scorsa al raduno che teniamo la prima domenica di ogni mese. Ma siamo arrivati, per ora, alla conclusione che c’è poco da fare. A voi umani proprio non va giù la semplice verità: a questo mondo esistono persone (sì, persone) infinitamente più intelligenti e sagge di voi. Capaci di attraversare le ere e i mondi, capaci di sonni e sogni senza fine (e senza bisogno di ricorrere a sonniferi), di guardare il vostro mondo agitato, e con serena saggezza sorridere di voi, così impastoiati nelle miserie di cricche, compromessi e mediocrità.
E a volte proprio non vi sopportiamo. A volte, però, anche ci fate tenerezza. E qualcuno di voi fa perdonare tutta la specie. Gli appartenenti ai popoli viaggianti, per esempio. Forse perché anche noi, per quanto stanziali, abbiamo un animo nomade…
Che tenerezza, ad esempio, gli zingari… convinti che qualcuno morendo si trasformi in gatto nero e vada ad abitare nella “montagna dei gatti” (luogo favoloso, a detta di Sergius Golowin autore di un incantevole “Gatto, amico, mago”, che assolutamente vi consiglio di leggere). E quando vanno a visitare i mortali (a volte accade) lasciano sull’uscio della loro casa il dono di una pietra splendente che ha il potere di aprire porte…
Che non è cosa poi tanto lontana dal vero. Non il fatto che gli uomini morti si trasformino in gatti, ma il dono che questi portano: un aiuto ad aprire porte sulla conoscenza metafisica della realtà, ma anche su quella banalmente più contingente che pure ai vostri occhi sfugge. Basta non ignorare le indicazioni che quando ci aggrada vi diamo, magari entrando nei vostri sogni…
Ascoltate, ad esempio, il sogno che Francesca mi ha confidato di avere fatto (e che io ho ascoltato fingendo di esserne estraneo…)
“Ero – mi ha raccontato – nella sala d’aspetto del veterinario per la visita di controllo per Pippo, il mio gatto di qualche tempo fa, che un mese prima si era rotto una gambina… Avvertivo un’aria inquieta, anche se tutto sembrava nella norma… Cortesi signore con i loro cari animaletti nelle gabbiette, o in braccio come neonati avvolti in copertine. Una bimba con un coniglietto nero. Ciro il pappagallo del veterinario dietro le sue sbarre, a guardare tutti un po’ annoiato, un po’ incuriosito, lanciando a tratti urla a squarciare momenti di silenzio, e a rimproverare la nostra disattenzione (Ciro si aspetta sempre che qualcuno si trattenga a chiacchierare con lui). Insomma, tutto come sempre. Anche la curiosità del mio Pippo, che allunga il muso verso la gabbietta semi aperta di quel canuzzo nero, che un po’ guaisce, un po’ abbaia. Ma a un tratto Pippo gli soffia contro, spaventato. E ne ha ben motivo… Il canuzzo si sta trasformando in un gattaccio, che… si gonfia, si gonfia, si gonfia, squarciando le pareti della gabbietta che più non lo contiene. Mentre diventa, diomio che sogno!, una pantera, che si tende in un balzo verso il mio povero Pippo. Che scappa e, prima che io riesca a riacciuffarlo, arrancando sulla sua zampina rotta, s’infila nella porta e attraversa la strada. Vado a cercarlo, anche se so che è già irrimediabilmente perso. Attraverso la strada, e mi perdo anch’io fra vie e palazzi fra i quali non mi oriento. E lo penso perduto, e lo penso morto. Mentre mi muore il cuore. Mentre vedo avanzare verso di me e intorno a me, gatti. Che non sono lui. Gatti ben nutriti, tutti identici l’uno all’altro. Soriani annoiati, dallo sguardo spento, che senza guardarmi avanzano meccanici. Con quei manti tutti perfettamente uguali, a righe nere e grigie. Nella foresta di palazzi. Che diventa prigione, nella quale pure mi sembra vivano la loro inerte vita con rassegnato agio…”
Immagino abbiate capito. Per mettere Francesca in guardia da questo mondo che sta tutto ingabbiando, sono entrato nel suo sogno e, con l’aiuto di qualche amico, ne ho allestito la rappresentazione… perché se la vita a volte è sogno, ben più spesso sono i sogni a dirci della vita quello che a occhi aperti non sempre vogliamo riconoscere…
Ora però la vedo un po’ triste, e per consolarla vorrei invitarla a salirmi in groppa e cavalcare con me lontano. Ma lei è lì che ancora mi guarda turbata. Anche perché sa bene (non ricordo dove mi ha detto d’averlo letto) che se un umano guarda attentamente un animale riesce a vedere nel fondo dei suoi occhi gli occhi di un uomo che ride di lui. Ed io in questo momento sto straripando dal ridere. Risate amare. Tanto amare che ora scendo al bar, per cercare qualche amico con cui berci su…
Ma prima, vi regalo un disegno-ritratto di cui mi ha onorato Mario, Mario Trudu, il nostro amico eterno ergastolano, che neanche quattro mesi fa ha lasciato questo stupido, ingiusto mondo. Lasciato, vi confido, non ancora del tutto. L’ho riconosciuto, l’altra notte, nello sguardo di uno splendido esemplare di gatto selvatico (avranno ragione gli zingari?!). Era sul tetto di fronte la finestra di casa. Mi ha guardato, ha strizzato un occhio indicandomi la pietra di luce lasciata davanti la mia porta… e poi, con un balzo che non credereste, ha raggiunto il ramo più vicino al cielo dell’immenso cedro del nostro giardino… ” Gatto Randagio