Bel titolo, per un articolo su “IL Garantista”, ieri, che alla storia di Mario Trudu ha dedicato due intere pagine. Questo il mio contributo…
” Storia di Mario Trudu. “Due condanne per sequestro di persona. Del primo mi dichiaro innocente. Ma ritengo che le vittime di questa faccenda non siano soltanto i sequestrati. Pure io e i miei familiari siamo vittime di uno stato che dovrebbe fare giustizia e non vendetta. Da trentacinque anni anch’io sequestrato e senza alcuna prospettiva di uscirne vivo, vi racconto la mia tremenda storia”. Poche, forti parole, con le quali Mario Trudu si presenta e presenta la sua autobiografia, sembrano mettere in guardia il lettore: lasciate ogni speranza o voi ch’entrate… E così è stato per me. Quando il testo di Mario Trudu mi è arrivato per posta, era già un volumetto stampato e rilegato, con cuciture a mano, come solo si può fare in carcere. Dal momento in cui l’ho aperto non me ne sono più staccata, dal testo e dal suo autore, finché l’autobiografia non è diventata il libro accolto ora da Stampa Alternativa.
Trudu, pastore, di Arzana, nella provincia di Nuoro, fu condannato la prima volta per il sequestro Bussi, del quale da sempre si dichiara innocente. Durante una breve latitanza fu responsabile del sequestro Gazzotti. In “Totu sa beridadi” ripercorre il film della propria vita… Una “tremenda vicenda” (…) che inizia dal tempo della vita sui monti, quando faceva il pastore. Poi l’arresto, il processo, le condanne, la breve latitanza durante la quale concepisce e attua il sequestro dell’ingegner Gazzotti… Un racconto che ci svela, in filigrana e a mio parere meglio di molti saggi, i meccanismi e le “regole” in vigore in un passato ancora molto recente nella Sardegna più profonda, e apre uno squarcio sulla storia, ancora piena di ombre, della Sardegna dei sequestri che tanto ha occupato le cronache a cavallo degli anni ’70 e ’80: i sequestri, il processo all’Anonima, il giudice Lombardini… , il giudice “sceriffo”, che si è suicidato dopo l’inchiesta aperta a proposito di sue poco chiare iniziative fra sequestrati e sequestratori. Con Lombardini Trudu s’incontra e si scontra in pagine che sanno di “corpo a corpo”…
Il suo è anche il racconto di decenni passati nelle prigioni fra la Sardegna e “il continente”, in quel regime “eccezionale” e parallelo che fa di 1200 persone nella sua condizione (gli “ostativi”), quelli “della morte viva”, perché non collaboratori di giustizia. E’ un racconto nel quale l’autore non risparmia nulla, né a sé né agli altri. Tutto descritto con una scrittura puntigliosa, minuto per minuto, ora per ora… Una narrazione piena di durezze, vergata con il sangue. Senza voler mai mentire in qualche modo attenuando, sfumando crudezze nel racconto. Cosa che, devo ammettere, ho provato a suggerirgli. E mi ha dato una bella lezione: se scrivere è anche cercare il filo che spieghi la propria vicenda esistenziale, in qualche modo mi ha fatto capire, non si possono truccare le parole. Solo così, mi ha spiegato facendomi vergognare della mia stoltezza, può spiegare cosa è cambiato nell’uomo che trentacinque anni fa avrebbe ucciso per un’offesa… chi è l’uomo di oggi, per il quale il pensiero delle vittime rimane peso intimo che nulla può cancellare. Ma è testimonianza anche di come una pena che travalica i limiti dell’umano ( perché non è umanamente concepibile una pena che finisce solo con la morte della persona condannata) può trasformare anche chi ha compiuto un reato in vittima.
“Totu sa Berdadi, Tutta la verità” è un libro che come pochi ci danno il senso del tempo eterno che è una carcerazione come questa, senza speranza di uscirne. E per un ostativo non c’è redenzione che valga… In 35 anni di carcere Trudu ha usufruito solo di due permessi di 6 e 8 ore, una decina di anni fa. Poi più nulla. Chiede da tempo almeno ad essere avvicinato alla sua famiglia, in Sardegna.
Quando, incontrandolo, mi sono chiesta e gli ho chiesto come si fa a sopravvivere a una pena così infinita, mi ha risposto che vive grazie al ricordo della natura nella quale è cresciuto come in due vite parallele nelle quali entra ogni mattina: quella che immagina ricordando, e quella del carcere…
Vero. Il ricordo del tempo passato sui monti è vividissimo. La prima parte del libro, in molte pagine, sembra un trattato di botanica. E tutta la narrazione è tessuta dell’eco della sua lingua, perché, mi ha confessato, una delle pene che si aggiungono a pena è non poter parlare in sardo.
Mario Trudu, che lo scorso anno è stato trasferito nel carcere di San Gimignano, durante la detenzione nel carcere di Spoleto si è diplomato all’Istituto d’Arte. Aveva sempre desiderato poter compiere degli studi e imparare a disegnare. Il libro è tutto ‘farcito’ dei suoi disegni…