Ha proprio ragione Alessandra Celletti, che nella prefazione a “La Belva della cella 154” chiarisce subito di non farsi ingannare dal titolo: questa, assicura, “è una storia d’amore, di amicizia e di perdono, dove durezza e crudeltà si sciolgono come la neve al sole”… “La belva della cella 154”, nel libro risponde al nome di Nino, alias Carmelo Musumeci, ergastolano scrittore, detenuto dal 1991, oggi in regime di semilibertà. Naturalmente cambiato tutto quel che c’è da cambiare fra il protagonista di un romanzo, a metà fra realtà e fantasia, e il suo autore.
Di reale, realissimo, in questo racconto c’è il carcere, quell’Assassino dei sogni che non ammette la speranza, che ha molte armi per uccidere a poco a poco, dove c’è chi si aggrappa alla vita con rabbia e disperazione e chi finisce col non avere paura più di nulla, e amare solo la propria solitudine.
Eppure davvero durezze e crudeltà, in questo racconto, si sciolgono fin dalle prime pagine, quando, dopo la presentazione di Nino, in cella come una belva che più belva non si può, scopri che c’è un’unica persona, pardon , un unico essere a cui tiene come alla sua stessa vita e al quale affida i suoi pensieri: un micio. Un micio dal nome Silvestro. Un gatto libero che non aveva padroni, e forse per questo l’unico ammesso nella cella della “Belva”, che, ergastolano senza scampo e senza sogni da sognare, aveva messo fra il suo cuore e il mondo un muro invalicabile. Ma si sa, i gattini riescono a fare breccia nei muri e nei cuori più duri. Così Silvestro, che di giorno se ne va in giro a perlustrare il mondo, la sera torna puntuale, ad ascoltare quel che Nino avesse da confidargli.
“Caro Silvestro… non sono stato sempre una belva… una volta sono stato un ragazzo anch’io…”
Così si scioglie il racconto di una vita. Un percorso quasi obbligato per un ragazzo dall’infanzia difficile, che presto passa dal collegio al riformatorio… finito in carcere per aver ucciso nel corso di una rapina due carabinieri.
C’è un grande amore nella vita di Nino rapinatore di banche, Isabella, che “aveva sempre una luce strana e strafottente negli occhi, che adoravo”. Che era “sicura, sensuale, ironica, spensierata, bastarda”… che “vuoi scopare sì o no?”… e un giorno scompare…
C’è un grande amico nella vita di Nino, Maurizio, che nel corso dell’ultima rapina… “ quella mossa fulminea spaventò i due carabinieri che iniziarono a sparare… Vidi Maurizio, l’unico amico che avevo mai avuto, cadere a terra come al rallentatore…”
Il racconto e il ricordo della vita fuori incalza, e c’è amarezza, dolore, rimpianto, ma anche a tratti squarci di ironico disincanto che fa persino sorridere. Come l’idea di quel gatto, Silvestro, che paziente ascolta…
Ma anche nel fragile equilibrio che la “Belva” crede di aver conquistato nello spazio della sua cella, irrompe la feroce cattiveria degli uomini. E arriverà l’”ora dei limoni neri”… Che di cosa si tratta lo lascio scoprire a voi. E il finale sarà comunque a sorpresa in questo romanzo di Musumeci che mai finisce di sorprendere.
In questo racconto le frasi sono incolonnate, con frequenti accapo. Come liriche…
Ne ho chiesto a Carmelo il perché e lui mi ha risposto che così pensa un monologo, ché di monologo si tratta… E scorrendo e riscorrendo ho pensato a sospiri di pensieri che nascono in sussulti e in sussulti si spezzano… in un canto a due voci con la parte segreta di sé.
Mai finirà di sorprenderci Carmelo Musumeci. Oltre a leggere e studiare, ha sempre scritto molto in carcere. Dopo qualche anno che lo avevo conosciuto, mi sono ritrovata in casa pagine e pagine dei suoi diari, appunti, abbozzi di racconti… e, devo confessare, non tutto sono riuscita a leggere, ma ho subito immaginato quanti libri da quegli appunti sarebbero potuti nascere. Riflessioni, diari, racconti. E così è stato. E ora che sono arrivata all’ultima pagina di questa “Belva della cella 154”, mi chiedo chissà cosa tirerà fuori la prossima volta…