Continuando, a ricordare Atene… il giorno dopo… nel porto assonnato…
Il Pireo. Nel giorno di Santo Stefano, la mattina non tardi ma neppure troppo presto è un altro day after. Come surreali geometriche masse di lava vomitata da ferite dei colli, i blocchi di edifici bianco grigi di cemento arrivano fino al mare. Sembrano quasi sul punto di buttarvisi dentro, ma si trattengono, invece, sul limite del serpente di strada del lungomare. Dove la passeggiata è dolce. Incombono, immense, sagome di navi immobili. Prima di arrivare sul porto, intraviste dall’intrico di strade, sembrano emergere dalla terra, quasi fossero anch’esse puntellate da strutture di cemento armato.
Qua e là sulle strade, anche qui cani. In attesa. Di essere riportati a casa, e non importa se non più dagli stessi uomini che li avevano abbandonati, un mese, tre mesi, un anno prima. C’è un meticcio, … acciambellato sullo zerbino di un negozio, accostato stretto alla saracinesca abbassata. Solleva una palpebra, incrocia il mio sguardo, leggendovi (gli animali, tutti, sanno ben leggere i sospiri nascosti dell’anima) un segmento di pietà e con passo stanco e allo stesso tempo ostinato viene dietro. Tenendosi appena pochi passi distante. Affianca, interroga, s’interroga. Osa, si avvicina, di poco si riallontana. Si ferma se mi fermo. Osa uno sguardo ancora, dicendo muto “mi vuoi?”. “ho capito, lo sapevo, neppure tu, mi vuoi” si risponde subito riabbassando lo sguardo sul marciapiede, e poi rialzando gli occhi e ancora frugando sguardi fra le gambe delle persone che cominciano ad affollare la strada e i tavolini dei bar.