Ancora per Marcello Zuinisi. Il ricordo di Vittorio da Rios:
“Ricordo quando nella fase caotica assurda e dolorosissima dello sgombero di Campo River a Roma, dove furono messi fuori per strada oltre 400 creature umane, donne: alcune incinte bambine e bambini, anziani, Marcello era li e utilizzando gli strumenti del diritto cercava di evitare l’ennesimo scempio e obbrobrio sociale. Non ho la conta delle innumerevoli telefonate, che ci furono tra me e Marcello. Mi chiedeva consigli, e che attivassi i “modesti” strumenti che possedevo per far intervenire chi di dovere a fermare il tutto. Mi lesse cosa aveva scritto su un striscione di denuncia: “Lo Stato responsabile dell’ennesimo abuso, di violenze e privazioni gravi e lesive dei diritti fondamentali”. Gli dissi che doveva correggere la prima parte: “CON QUESTO NON STATO POICHÉ SE FOSSE LO STATO PREVISTO DALLA COSTITUZIONE AVREMMO UNO STATO DI DIRITTO CHE NELL’ATTIVARE L’art. 3 DI FATTO GARANTISCE E TUTELA TUTTI I CITTADINI E NE GARANTISCE UNA VITA GIUSTA E DIGNITOSA. MA QUESTO E’ UN “NON STATO” E L’ATTEGGIAMENTO DELLA GIUNTA RAGGI DELLA POLIZIA MUNICIPALE E DELLE FORZE DELL’ORDINE SONO ILLEGALI E ANTI COSTITUZIONALI. E NE DOVRANNO DARNE CONTO NELLE SEDI GIURIDICHE DI COMPETENZA. Riscrisse lo striscione e mi mandò le foto. Ma a nulla servi come era ben prevedibile. Il campo fu smantellato con tutte le conseguenze del caso. Da rilevare che dove sorgeva il campo era ed è proprietà privata di una signora che ben disposta, aveva dato in affitto quel fondo. Da notare che il Campo River uno dei tanti che si trovano a Roma era uno dei più “funzionali” con bambine e bambini che andavano regolarmente a Scuola dell’obbligo e poi molti frequentavano le superiori. E questo grazie a figure di volontariato molto professionali e preparate, e a strutture di assistenza che garantivano alla comunità Rom lo scorrere di una vita discretamente vivibile. Tutto vanificato e distrutto. Con indignazione rammento nella memoria le immagini a suo tempo inviatomi degli scandalosi comportamenti delle forze di polizia municipale e in particolare del comandante che girava nel campo con la pistola in mano e a sferrare calci a minori nella totale impunità. Cosa ancora più riprovevole è che su quel campo vi era e vi è uno studio in fase avanzata, utilizzando i fondi strutturali messi a disposizione della comunità Europea per costruire un “villaggio” residenziale per i Rom che poteva e può essere da guida e esempio per tutte le realtà degradate e di sofferenza emarginativa presenti nel territorio e soprattutto nei grossi agglomerati urbani delle nostre maggiori città. Ritengo che per Marcello quello fu uno dei momenti più bui e tristi da lui vissuti delle innumerevoli battaglie che ha sostenuto. per la giustizia e la lotta contro qualsiasi pregiudizio razziale ed emarginativo nei confronti del popolo Rom Sinti e Camminanti. Non posso dimenticare mai con quale passione etica e civile mi diceva: ma hai una vaga idea di cosa prova una bambina, un bambino che a 9-10 anni si ritrova con 6-7-10 sgomberi, già patiti? Un bambino che non riesce a fissare nella memoria con continuità una dimora? Cosa gli reca tutto questo nella sua evoluzione psico -fisica? Senza contare le violenze subite e viste, le ruspe a distruggere e schiacciare i modesti moduli abitativi, e il comportamento spesso inqualificabile delle autorità definite “Istituzionali”. Marcello aveva in mente un grande progetto, riproporre qui in Italia un “LUOGO DELLA MEMORIA, a ricordo dell’eccidio genocidario dei Rom Sinti e Camminanti nei campi di concentramento e nelle camere a gas nazifasciste, che come ricorda Francesca furono di numero oltre 500 mila. Grande e “pesante” la sua eredità ,per chiunque la voglia far propria. Ma è indispensabile dare corso e continuità, a un patrimonio tale di lavoro, di iniziative, di lotte fatte con sacrifici e passione etica-civile che raramente ha trovato pari nella nostra storia recente. Convinto Marcello che alla lunga il lavoro la tenacia determinata DALLA FORZA DELLA RAGIONE, e del “DIRITTO DI AVERE DIRITTI, darà i suoi frutti. Nell’ultima telefonata che ebbi con lui avevo colto quel sottile pericoloso “Male del vivere”, che aveva preso qualche decennio fa in modo irreversibile Cavaliere, anche lui sempre sulle barricate a Torino e altrove nelle carceri a mediare a vigilare che le sofferenze in alcuni non fossero irreversibili, pronto a cogliere la dove il suicidio stava maturando e a intervenire per evitarlo. Ma poi accade e per entrambi che la mediazione con se stessi era diventata impossibile. E la corda ha preso il sopravvento. Quando figure cosi se ne vanno chi gli sopravvive ne porta le maggiori responsabilità. Grazie Francesca Un caro saluto.” Vittorio da Rios