“Di fuori, il palazzo della Mammadraga era bellissimo; dentro però una spelonca, con le pareti e le volte tutte affumicate, e un puzzo di carne bruciacchiata che ammorbava…”. Prendendo a prestito l’immagine attraente e pure subito paurosa di un racconto di Luigi Capuana, Antonella Lia ci introduce ad “Abitare la menzogna”, con una fiaba. Di quelle che conducono lungo i sentieri anche bui della vita, e che della vita svelano tranelli e mostruosità, indicando così la via per affrontarli… Purché si cerchi di imparare a guardarli bene in faccia, e non costruire la montagna di bugie sotto le quali sotterrare le cose brutte, le cose dolorose, i ricordi che sanguinano… Questo il patto che viene proposto a chi legge, mettendo subito a fuoco il soggetto intorno al quale l’autrice tesse la sua narrazione, l’infanzia infelice. Il dolore dei bambini, i traumi di cui sono vittime che noi non vogliamo vedere, preferendo accogliere la retorica della famiglia perfetta, che così bene sa nascondere e soffocare paura e rabbia. Scatenando poi patologie e mostruosità.
Antonella Lia, che è sociologa, psicologa, psicoterapeuta, chiarisce subito (…) come non intenda sostenere che ci sia corrispondenza biunivoca tra maltrattamenti e disordini emotivi. Non tutti i maltrattamenti subiti dai bambini, sottolinea, sfociano necessariamente in patologie, ma “in ogni soggetto portatore di comportamenti disturbati si può riscontrare un passato di maltrattamenti subiti nei primi anni di vita”. Insomma, da vittime a carnefici. E questa frase già scuote le nostre fragili coscienze.
L’invito è ad addentrarsi nelle pagine di un libro che sorprende da subito per il linguaggio lieve con cui affronta un tema così complesso e difficile da seguire, anche perché tocca, se così posso dire, il profondo più profondo dentro di noi…, la nostra ostinazione a non voler intaccare le certezze che abbiamo a proposito di ciò che è Bene e di ciò che è Male. Cosa che quando poi riguarda la famiglia, innalza mura che sembrano, e purtroppo molto spesso sono, inespugnabili.
Antonella Lia ci invita a dare qualche picconata a quel muro, aprivi brecce e riconoscere le cose per quello che sono, e liberarci della “retorica della famiglia” nella quale pure tanto ci culliamo, tranquillizzandoci. Che pure tante mostruosità troppo spesso nasconde, magari soffocandoci di baci… Ma l’infelicità passa di generazione in generazione. Questo libro ci mette in guardia: i figli di genitori violenti è probabile che saranno genitori violenti anch’essi, e le patologie che ne derivano sono destinate a riversarsi sull’intera collettività.
Ci tranquillizza così tanto pensare che Erika era una ragazzina cattiva, che Bilancia un mostro assassino… e tutto finisce lì. Ma scavando nella loro vita, e questo libro ce lo ricorda, si svelano i meccanismi profondi che hanno portato alle tragiche cronache che conosciamo.
Non esistono bambini cattivi, ricordava una volta una garbata pubblicità, solo bambini indisposti. Nessuno nasce cattivo, ci spiega Lia. Ma cattivi lo si può diventare, a partire ad esempio dal meccanismo di difesa che nasce dalle violenze subite… E la violenza assume mille volti, a partire dalla violenza delle “botte”, magari con la convinzione, e quanto è ancora diffusa, che i figli così vadano educati, per il loro bene … , e poi magari lo sfogare sui figli le proprie insoddisfazioni, … oppure il fare di loro il fuoco di un falso equilibrio di coppia… e poi… e poi… e poi… In Italia la violenza “è” domestica, come ci ricorda l’autrice, e può celarsi nel quotidiano non solo di famiglie che vivono nell’emarginazione. Anzi, quanto più normale e stimata è la famiglia, più subdola è la violenza… che questo libro racconta e aiuta a riconoscere nei tanti suoi aspetti. Senza nulla e nessuno giudicare. E questa è altra cosa che colpisce nelle parole di Antonella Lia che fra l’altro ha lavorato nelle unità socio-psico-pedagogiche del Provveditorato agli Studi di Napoli.
Questo suo lavoro è un debito, dice: “Troppe tenere esistenze, maltrattate nell’indifferenza tra le pareti delle loro case, ho potuto, inerme, solo intuire…”. Ed è anche un grido! Un invito a considerare, al di là dei casi limiti come l’infanticidio o la pedofilia, la violenza quotidiana, psicologica ma soprattutto fisica di cui sono vittime i bambini.
L’invito è a sfidare un tabù millenario…
buona lettura a tutti
Antonella Lia, Abitare la menzogna. Stampalternativa