A proposito della morte, delle nostre paure e illusioni, dei desideri, delle violenze, di sistemi consolatori… la profonda riflessione di Vittorio da Rios, che ancora ringraziamo…
“Tutti portiamo dentro le sofferenze di lutti personali e collettivi. La morte ci accompagna inesorabilmente. Sorella morte l’ha definita Francesco. A volte desiderata come forma ultima e sublime dello spirito, di ricongiungersi con “l’eterno”. O come quando il vivere diventa insopportabile dolore fisico e psichico, nonostante le conquiste in campo farmacologico. Spesso la morte colpisce con innata violenza, e rapina giovani creature. Determinate da malattie, guerre, fame, tribolazioni dovute al disordine globale in cui vive tutt’ora l’umanità. La morte questa sconosciuta, nonostante si abbiano a lei dedicato, nel corso dei secoli studi, riflessioni, profondissime escavazioni filosofiche-teologiche-scientifiche- antropologiche, rimane nella sua essenza “costitutiva” tutta ancora da decifrare. Noi conosciamo le componenti biologiche, le cellule e il loro morire e invecchiare, la lenta decomposizione della struttura fisica col passare degli anni e l’invecchiamento. Sul piano medico-scientifico conosciamo nei particolari i processi che portano alla cessazione delle funzioni vitali degli organismi viventi e tra questi l’uomo. Ma nei confronti della morte qual’è l’atteggiamento della donna e dell’uomo del terzo millennio? Nell’era post moderna e atomica la morte come viene vissuta? Ben sappiamo che il “sapere” del morire è acquisizione relativamente recente fatta dall’ominide, qualche migliaio di anni fa. Un tempo non aveva la consapevolezza razionarle del morire. Avuta consapevolezza della irreversibilità del morire, della impossibilità di comunicare a se stesso e agli altri, di trasmettere cosa sia concretamente il passaggio da l’essere a il non essere, si è costruito paradigmi consolatori post mortem. La cui elencazione creatasi in questi 4-5 millenni è copiosissima. Ma l’era digitale e l’acquisizione di nuovissime tecnologie impensabili solo qualche anno fa sono adeguati strumenti per andare oltre la morte? Per combatterla e vincerla definitivamente? Avremmo finalmente raggiunto l’immortalità tanto agognata da un sistema che arricchendo pochi li dota di tale benessere “presunto” e di una infinità di beni materiali e di potenti strumenti tecnologici da renderli arrogantemente immortali? Certo che no! Potremmo ben dire che l’assioma pascaliano sulla morte ci è di non poco conforto, forse il solo autentico conforto: la “distrazione” poiché rileva Pascal ci permette di arrivare alla “morte” senza che ce ne “avvediamo”. Francesca ha ben intuito che quell’abbraccio “virtuale” non ci salva, non può salvarci. Tragica illusione momentanea tutta tecnologica e inumana, passato il tempo della illusoria e triste finzione, ritornano più copiose le lacrime e il rimpianto irreversibile di quella perdita. Ma vi è un sistema consolatorio, non post mortem, tanto caro ai dogmatici di ogni tradizione e cultura religiosa, che nasce dalla mente di uno dei maggiori intellettuali e spiriti contemporanei, Aldo Capitini grande antifascista perseguitato, uomo di grande cultura che nella sue opere della maturità spesso rivolge lo sguardo al Cristo Storico al grande “Messaggero” cercando di decifrare quel grido: Dio mio perché mi hai abbandonato? L’assassinio non di un innocente ma dell’innocenza. E Balducci ci ricorda, in un suo straordinario intervento un anno prima che la morte tragicamente lo rapisce nel pieno della sua maturità intellettuale, l’immenso divenire della storia di milioni e milioni di vite perdute e dimenticate; noi sperduti nell’immenso universo in questo granello di sabbia che è la Terra che ci ospita. Capitini reagisce a questo nostro tragico destino, alla nostra finitezza biologica, rifiutando la morte, riconoscendola come nostra condizione inemendabile, ma al contempo ponendo la “ragione” come potente strumento al di sopra del tutto, che fa l’uomo immortale, crea la compresenza dei vivi con i morti. L’eterno presente che ci permette di “sprofondare” nel passato e i morti e i vivi cooperano nella formazione del valore dell’esistenza, della conoscenza, della giustizia. Non posso seppur di sfuggita non citare un brevissimo passaggio ricavato dal libro di Giuliano D’Elena “cristocentrismo”. La teologia della madre, dove a proposito della morte si legge: Quindi abbiamo dimostrato con atto dimostrativo, la inevitabile e la ineluttabilità della perdita dell’esistenza fisica da parte di tutti gli esseri biologici e materiali “perché nulla è per sempre”. E’ stato stabilito che alla morte non si può sottrarre nessuno, perché la natura è forma mutante e sempre modificabile: anche Cristo si è dovuto sottoporre all’esperienza del, passaggio, ovvero uscire dalla fisicità materica per poter raggiungere la “metamorfosi” gloriosa, ed ha affrontato con immane sofferenza il proprio sacrificio sulla croce., per poter “risorgere” e indicarci cosi la possibilità che apparirtene ad ogni umano di “raggiungerlo”. Grazie cara Francesca per questa tua profonda riflessione sulla morte e sulle inutili scappatoie consolatorie virtuali. Un caro saluto.” Vittorio da Rios.